Dall’Inviato Speciale Ugo Ottavian

Se non si trattasse di un’ironia macabra, bisognerebbe proprio dire che il sistema fa acqua da tutte le parti.

  • 28 Dicembre 1908 Terremoto di Messina.
  • 1 Dicembre 1923 Il crollo della diga del Gleno.
  • 21 – 30 Marzo 1944 Eruzione del Vesuvio.
  • 8 – 22 Novembre 1951 Alluvione del Po.
  • 9 Ottobre 1963 La diga del Vajont.
  • 4 Novembre 1966 L’alluvione di Firenze.
  • Le sole alluvioni avvenute fra il 2000 ed il 2023 sono state 61 con un n. 187 di vittime

E sicuramente non ci fermeremo qui.

Premessa

Quello che nel tempo è capitato ci fa parlare oggi di ingerenza antropica nella produzione dei fenomeni. Così è stato per la diga del Vajont, così ancora attualmente capita per i fenomeni climatici. È un fatto che la temperatura del pianeta sia aumentata e che ciò, lo dice la scienza, sia dovuto alle attività umane.

Ed è proprio dovuto a questo che una nutrita serie di fenomeni naturali, trombe d’aria, tempeste, bombe d’acqua, alluvioni, abbiano intensificato i loro effetti dannosi sulla crosta terrestre, creando di volta in volta conseguenze sempre più catastrofiche. In pratica se è l’uomo che sta segando il ramo su cui è seduto, non si deve lamentare poi dei negativi risultati che raccoglierà.

Ma dovremo allora fare le cose diversamente? Uno studio di EIOPA (European Insurance and Occupational Pensions Authority), lo conferma soprattutto per il nostro paese che si trova in fondo alle classifiche continentali non solo della prevenzione, ma anche dei risarcimenti per i danni da calamità naturali.

Nonostante tutti gli studi e le statistiche, la produzione di dettagliati documenti che stimano con precisione l’incidenza di ogni singolo fenomeno, dal terremoto all’alluvione, dalla conoscenza delle zone grandinifere, a quelle ove più spesso si abbattono le mareggiate, non abbiamo ancora deciso che per primo le nostre attività non debbano alterare l’ambiente, pena il patirne le conseguenze.

Si dirà che il problema è planetario e quindi che diventa ininfluente quello che un piccolo stato può fare. In proposito ricordo l’uccellino che portava la sua goccia d’acqua per cercare di spegnere l’incendio della foresta. Alla domanda che l’orda degli animali in fuga dal fuoco gli avevano fatto: “Ma che cosa stai facendo? Pensi forse di spegnere l’incendio?” ed alla scarsa considerazione che manifestavano verso di lui, il piccolo volatile disse solo: “Faccio solo la mia parte!”.

Ecco un atteggiamento che andrebbe a beneficio di tutti.

Eppur si muove

L’articolo 1, dal comma 101 al 112 della legge di bilancio di previsione dello Stato datata 30 dicembre 2023 n. 213 impone che, entro il 31 dicembre 2024, non solo le imprese italiane ma anche le imprese con sede legale all’estero che abbiano  una sede secondaria in Italia (con l’esclusione delle imprese agricole) abbiano l’obbligo di contrarre polizze di assicurazione a copertura dei danni subiti dai loro immobili che possono essere costituiti da terreni, fabbricati, impianti e macchinari, attrezzature industriali (ossia i beni descritti dall’articolo 2424 del codice civile) a causa di calamità naturali ed eventi catastrofali verificatisi sul territorio nazionale. Restano solo esclusi dalla garanzia i fabbricati abusivi e gli attivi circolanti (ad esempio le merci a magazzino).

Quantomeno è questa una notizia che mette un seme nel solco del cambiamento. Che le imprese si debbano obbligatoriamente assicurare contro le calamità naturali potrà tradursi non solo in un beneficio per loro ma anche per la collettività.

Bisognerà però per far reggere il sistema, che le Società di Assicurazione e lo Stato cioè, risultino capaci di costruire quella rete di protezione che ridistribuendo i premi sugli assicurati andati a sinistro, abbia sufficienti risorse o contribuzioni per far girare la macchina, garantendone il buon funzionamento.

Il box dell’assicuratore

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