I DATI IN UN REPORT RISERVATO DI AMBROSETTI. E ANCORA: L’8% DEL PIL PUÒ SALTARE ENTRO IL 2100
di Luigi Chiarello
Un miliardo di euro: a tanto ammonta il danno causato ogni anno al settore agricolo italiano dall’impatto del cambiamento climatico. Un costo dovuto sia alla riduzione delle quantità prodotte, sia al peggioramento della qualità dei raccolti: nel 2021 «le avversità climatiche hanno determinato una perdita di produzione media del 27% della frutta, del 10% del riso e del 9% del vino». Ma gli impatti più severi sono stati raggiunti: «Nella produzione di miele, quasi totalmente scomparsa» (-95%), pere (-69%) e pesche (-48%)». A dettare questi numeri è un report riservato, stilato da The European House – Ambrosetti in vista del sesto forum sul Food&Beverage, che si terrà a Bormio il 17 e 18 giugno 2022 (altro articolo a pag. 40). Lo studio affonda nell’attualità in questi giorni: «L’agroalimentare è uno dei comparti più impattati dal cambiamento climatico», si legge nel dossier che ItaliaOggi è in grado di anticipare; «Da un lato per l’aumento degli eventi meteo estremi, dall’altro per la siccità. Il 21% del territorio italiano è a rischio desertificazione; allo stesso tempo il numero di eventi estremi cresce del 25% l’anno». E ancora: il climate change sul territorio italiano «può mettere a rischio circa l’8% del Pil entro il 2100».

Ma lo Stivale, ovviamente, è solo una piccola porzione del pianeta e il dossier non trascura l’altra faccia della medaglia: l’impatto che le produzioni agroalimentari hanno sugli ecosistemi ambientali. «A gennaio 2022, la popolazione mondiale ha toccato per la prima volta gli 8 miliardi». E «nell’ultimo trentennio la produzione mondiale di cibo è aumentata del 91%, il doppio di quanto sia aumentata la popolazione (+45%)»; nonostante ciò, i sistemi agricoli del pianeta «dovranno esser pronti a fronteggiare un aumento significativo della domanda alimentare: Onu e Fao stimano un aumento della produzione di cibo del 60% al 2050, a fronte di un incremento della popolazione del 23%», rivela il report. Tutto ciò cosa comporta? Lo studio non lo cela: «L’aumento della produzione di cibo può causare esternalità negative sugli ecosistemi ambientali necessari per produrlo». Quindi, i numeri: «Dal 1990 al 2019, il suolo disponibile per pratiche agricole nel mondo è diminuito dello 0,4%, il terreno forestale del 4%». E le emissioni? «La filiera agroalimentare incide per il 31% dei gas serra globali. In Italia per il 32%».

Soluzioni? Ambrosetti ne suggerisce una, immediata: ricorrere all’agricoltura 4.0 che fa risparmiare il 30% circa degli input necessari per l’attività agricola e accresce del 20% la produttività. Ma per l’Italia resta un nodo: la filiera agroalimentare è storicamente dipendente dall’estero per materie prime agricole. Il che ha provocato un deficit commerciale cumulato di 85,8 mld dal 2010 al 2021. E, soprattutto, forte esposizione a cali produttivi e prezzi alti delle materie prime e crescente vulnerabilità agli choc nell’approvvigionamento.
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