Jp Morgan e Goldman Sachs avevano avvertito i mercati a inizio mese: è in arrivo un uragano. Una tempesta che venerdì 10 giugno si è effettivamente abbattuta su Piazza Affari, -5,2%, mandando in fumo circa 40 miliardi di capitalizzazione (-6,7% la perdita settimanale). Una delle tre ragioni fondamentali del warning riguarda le banche centrali, alle prese col rialzo dei tassi. Le altre due sono l’inflazione troppo alta e la guerra in Ucraina. Non a caso la bufera è scoppiata dopo che giovedì 9 Christine Lagarde, governatrice della Bce, ha avvisato che da luglio alzerà per la prima volta il costo del denaro dello 0,25%, fatto che non avveniva dal 2011. A pesare, però, è stato il fatto che a settembre Francoforte si prepara ad aumentare i tassi in maniera più decisa (0,5% atteso), avvio di un percorso di politica monetaria restrittiva. Ora i mercati si aspettano l’1,25% d’aumento del costo del denaro entro dicembre. E poiché Lagarde non ha fornito un riferimento chiaro sul rischio di frammentazione in Eurozona, ovvero il pericolo che il differenziale fra Bund tedeschi a 10 anni e titoli di Stato dei Paesi più indebitati si dilati, lo spread sul Btp ha preso il volo. Dopo il discorso di Lagarde ai mercati il decennale italiano è salito di 22 punti base contro gli 8 punti di crescita del Bund, quasi il triplo, per chiudere venerdì 10 a 234 punti (3,85% il rendimento) secondo Mts, la piattaforma del debito pubblico italiano. Era dal 2020 che non accadeva. Ora l’Italia non ha davanti a sé una banca centrale propensa a una politica espansiva, ma al contrario sta stringendo i cordoni.

Quanto rischia di costare la conferenza stampa di Lagarde? Se si parte dal fatto che il Tesoro ha speso 60 miliardi nel 2021 per rimborsare gli interessi sul debito pubblico (a marzo era salito rispetto a 3 mesi prima a 2.755 miliardi di euro, secondo Bankitalia) quando il costo del debito all’emissione era dello 0,1% (fonte Mef), considerando che il costo si è alzato nei primi 5 mesi del 2022 allo 0,7% e che i mercati ora si aspettano un rialzo dei tassi dell’1,25% entro dicembre, si può ipotizzare che lo Stato andrà a pagare attorno a 600 milioni di euro in più quest’anno. È l’1% circa su 60 miliardi. Per il 2022 il Mef conta di emettere titoli per 280 miliardi, di cui il 45% già collocato sul mercato.

Se a questi 600 milioni si sommano 700 milioni di euro di aumenti attesi dei costi dei mutui in Italia per il 2022 e altri 100 milioni nel settore dei prestiti, si arriva a circa 1,5 miliardi di euro. È la bolletta Lagarde per l’Italia.

Più debito e meno crescita, un mix complicato da gestire per uno Stato, ecco perché MF-Milano Finanza lancia l’Appello per il taglia debito e la valorizzazione del risparmio. Ovvero il progetto di convogliare i 300 miliardi di immobili in mano alla pubblica amministrazione in fondi da quotare collocando al pubblico finale. La cartolarizzazione degli edifici potrebbe avvenire sul segmento Miv di Borsa, per ora aperto solo agli investitori istituzionali. L’operazione permetterebbe di dare una sforbiciata di quasi l’11% al debito pubblico.

Nel frattempo i tassi riprendono a salire dopo oltre dieci anni in una sequenza che potrebbe rivelarsi lunga. «Il mercato stima 5, quasi 6 rialzi entro fine anno, ciascuno da 0,25%, quindi il tasso sui depositi in Eurozona arriverebbe allo 0,75% a dicembre dal -0,5% attuale», spiega Antonio Cesarano, Chief global strategist di Intermonte. «Si ipotizza un incremento di 25 punti base a luglio, 50 punti a settembre e 50 a ottobre e poi eventualmente la Bce dovrebbe rallentare», aggiunge l’esperto. Cesarano mette in evidenza che l’ultimo meeting della Banca centrale si è svolto ad Amsterdam, nella sede dei falchi olandesi, dove pare «non sia stato neppure discusso il piano di frammentazione, quindi ora la Bce è costretta a lavorare con un ombrello molto ridimensionato, dal primo luglio finisce il programma storico di Quantitative Easing, mentre quello di emergenza pandemica, il Pepp, è terminato a marzo». Restano però – e sono fondamentali – i reinvestimenti dei titoli in scadenza nel portafoglio Bce, che Lagarde ha confermato.

«Purtroppo la combinazione di meno sostegni, rallentamento della crescita e a breve l’avvio della campagna elettorale in attesa delle elezioni politiche nella primavera del 2023 non aiuta l’Italia», avverte Cesarano. Che poi sottolinea come la difficoltà del Paese dipenda molto anche dalla dipendenza dal gas russo, «mentre la Francia ha il nucleare, la Germania centrali atomiche e carbone e la Spagna molti più rigassificatori, l’Italia rischia di affrontare l’inverno con un razionamento se non verrà ripristinato un adeguato livello delle scorte». Sono tutte ragioni che possono favorire la salita dello spread a 250 punti base entro il prossimo meeting della Banca centrale, il 21 luglio. Intanto il titolo decennale italiano ha chiuso venerdì (scadenza dicembre 2032) con un rendimento del 3,84% (inizia a essere interessante) e uno spread di 235 punti.

Luigi de Bellis, co-responsabile Research Team di Equita, pone l’accento sulle nuove previsioni d’inflazione della Bce. «Il dato è stato rivisto in rialzo al 2,1% al 2024, oltre la soglia del dolore per i mercati del 2%. E soprattutto», sottolinea l’analista, «l’inflazione core è stata rivista in crescita di 40 punti base al 2,3% nel 2024 anche in presenza di 100 punti base di riduzione del Pil. Questo è anomalo, perché, se la crescita frena dell’1%, il costo della vita dovrebbe scendere in media dello 0,2%. Di fatto è come se la Bce avesse aumento di 60 punti base l’aspettativa dell’inflazione core al 2024 e questo secondo me è stato uno dei punti dolenti innescando un aumento delle aspettative sull’incremento dei tassi che ha spinto poi le vendite sui mercati».

Con la guerra in corso, le pressioni sulla catena di approvvigionamento e il parallelo aumento dei tassi «si rischia di comprimere la domanda, ma la Bce ha confermato che reinvestirà il capitale dei titoli in scadenza almeno sino alla fine del 2024, per un importo complessivo di 200 miliardi l’anno di re-investimenti», aggiunge De Bellis. Secondo cui Piazza Affari viaggia a multipli interessanti, «il Ftse All Share a 9 volte gli utili invece di 12x degli ultimi 5 anni, le Mid cap a 14 volte rispetto a 17 della media storica. Stimiamo che il mercato sconta già nei prezzi il 35% di probabilità di uno scenario recessivo nel 2023». De Bellis ricorda nel portafoglio raccomandato di Equita sono stati sovrappesati i titoli di qualità italiani, «sono società con un forte pricing power, possono trasferire i maggiori costi sui clienti e hanno migliorato il posizionamento competitivo rispetto alla situazione pre-pandemia». Alcuni di questi: Diasorin, Campari, Moncler, FinecoBank e Interpump.

«Possiamo arrivare a 250 punti di spread con un Btp decennale al 4% prima del meeting Bce di fine luglio, il mercato cerca di testare le resistenze, a meno di non avere forti dati contrarian come una decisa frenata dell’inflazione o della crescita», avverte Lorenzo Batacchi, portfolio manager di Bper banca e membro Assiom Forex. L’esperto ricorda che il 16 giugno, il giorno dopo il meeting della Fed, si riunirà «la Banca centrale svizzera, che ha i tassi per ora fermi a -0,75% e che non ha mai fatto acquisto di asset, Qe o Pepp, a differenza della Bce. Con l’effetto che l’inflazione nella repubblica elvetica era al 2,4% annuale lo scorso marzo, grazie anche a un franco forte», nota Batacchi. Che conclude: «una parte dell’inflazione arriva dalla debolezza dell’euro sul dollaro, in cui sono scambiate le materie prime. Grazie all’aumento dei tassi, un valuta comune più forte può aiutare».

Una voce contrarian arriva da Londra. Come spiega Fabio Caldato, partner di Olympia Wealth management, «se da un lato il trend di normalizzazione dei tassi è solo all’inizio e quindi gli investimenti strategici in bond rimangono a rischio, operazioni tattiche potrebbero essere già da avviare a a questi livelli». La caduta del mercato obbligazionario da inizio anno ha creato «opportunità su emittenti europei con rating investment grade», osserva l’esperto. Che tuttavia ritiene sia preferibile «selezionare titoli tedeschi piuttosto che Btp. Per esempio Volkswagen, che rende di più». (riproduzione riservata)

Per il credito al consumo il conto di Lagarde arriva a 100 milioni
di Anna Messia
Nel credito al consumo il trasferimento dell’aumento di tassi d’interesse sui costi dei finanziamento è tradizionalmente meno elastico e più lento rispetto ai mutui che, per definizione, sono indicizzati ai tassi. Ma è evidente che il rialzo di 0,25 punti base che la Banca Centrale Europea ha annunciato per luglio, il primo dopo 11 anni, avrà ricadute sul costo dei finanziamenti per l’acquisto di beni e servizi e le cifre in ballo sono importanti. I dati Assofin del primo trimestre segnalano un aumento del 17% del valore delle operazioni nel credito al consumo per un importo pari a 13,18 miliardi di euro e dell’11,4% nel numero di pratiche, a 13,1 milioni. Numeri che riportano il settore ai livello pre-pandemia con aprile 2022 che ha registrato gli stessi volumi di aprile 2019. Un rialzo che è arrivato dopo una prima ripresa avvenuta nel 2021 grazie alle riaperture dopo i lockdown, ma nonostante il +17,6% messo a segno nei 12 mesi dello scorso anno il settore non era riuscito a recuperare i volumi registrati prima del Covid, restando in calo del 9,6% rispetto al 2019. Moltiplicando, in un calcolo evidentemente approssimativo, i 13 miliardi di volumi d’affari del primo trimestre per 0,25 punti base di aumento dei tassi deciso dalla Banca Centrale, il conto della mossa di Christine Largarde sui credito al consumo italiano rischia di essere di 25 milioni in soli tre mesi, 100 milioni se proiettata nell’intero anno. Un rialzo che tra l’altro si inserisce in un trend che era già in aumento visto che, secondo i dati comunicati dall’Abi, lo scorso aprile il tasso medio sul totale dei prestiti è stato pari al 2,16%, più alto rispetto al 2,14% di febbraio e marzo. E ovviamente si tratta solo di tassi base, ai quali vanno aggiunti tutti gli altri costi che fanno lievitare il conto. Le migliori offerte di maggio sul mercato dei prestiti personali (si veda MF-Milano Finanza del 7 maggio), sottoscrivibili online (come prestitionline.it) prevedono per esempio un Taeg del 5,7%; del 3,63% per la cessione del quinto in caso di pensionati e del 4,32% nell’ipotesi di dipendente del settore privato. Dati che confermano la tendenza all’aumento visto che nella rilevazione del primo trimestre erano al 5,61% per i prestiti, al 3,5% per la cessione del quinto della pensione e al 3,21% per il dipendente del privato. Ora bisognerà verificare l’effetto dell’annuncio del primo rialzo dei tassi dopo più di un decennio che rischia di soffocare nella culla la ripresa del settore osservata in questi ultimi mesi.

Nel primo trimestre la crescita è stata forte soprattutto per il settore dei prestiti personali (+33,2% a 6,98 miliardi e +38,9% il numero a 614.128), seguito dalle carte di credito con utilizzo a rate (1,29 miliardi, +13,3%, e le operazioni +8,2% a 11,1 milioni) e dagli altri prestiti finalizzati che non rientrano nel segmento auto e moto (+8,1% a 1,39 miliardi con un +11,4% nel numero, 1,13 milioni).

Mentre il comparto dei prestiti finalizzati per auto e moto registra un calo del 7,9% (a 1,72 miliardi con un -13,6% per il numero di contratti stipulati, a 130 mila unità). Il segmento della cessione del quinto dello stipendio o della pensione, infine, fa +3,8% a 1,67 miliardi con operazioni in aumento del 5,3% a 87.429. Ma tra aumento dell’inflazione, calo della fiducia e ripresa dei tassi la sfida si fa ora decisamente più complicata. (riproduzione riservata)
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