di Manuel Follis
Lunedì in tarda serata sono stati comunicati i risultati dell’opa lanciata da Investindustrial su Guala Closures. L’offerta finalizzate al delisting su Carraro, invece, è stata prorogata portando il periodo delle adesioni al 18 giugno. È ancora in corso l’opa di Generali su Cattolica Assicurazioni, mentre deve ancora partire quella di Ion su Cerved. Infine da poco si sono concluse quelle su Astm e Creval. Cosa accomuna tutte queste operazioni? Che l’adesione e le scelte degli investitori retail sono diventate con il tempo sempre più determinanti. «Quasi sempre si tratta di investitori che detengono più del 7-9% delle società oggetto di opa», spiega Andrea Di Segni, managing director di Morrow Sodali, la società di consulenza in tema di corporate governance, proxy solicitation e rapporti con gli azionisti. Il problema è che non sempre questi piccoli soci ragionano secondo logiche di mercato, e spesso si affidano unicamente alle indicazioni degli istituti di credito su cui sono depositate le azioni. «Nell’ultimo anno ci sono state oltre 10 operazioni di offerta pubblica, e in quasi tutte il retail si è rivelato un elemento determinante», conferma Di Segni. La difficoltà aggiuntiva è la asimmetria informativa, che a volte tra offerente e società target è eccessiva. Capita ad esempio che la società offerente non abbia in mano il dettaglio di tutti gli azionisti della società target, mentre quest’ultima ne è logicamente e ovviamente in possesso. Risultato? La società oggetto di opa è come se disponesse di uno strumento per ostacolare le opa. «In Morrow Sodali siamo convinti da tempo che in caso di offerta pubblica il libro soci dovrebbe essere messo a disposizione di tutti gli azionisti», spiega Di Segni. Sono gli azionisti, prosegue, «che devono valutare ed esprimersi sulla congruità dell’offerta». Capita invece non sia così, e che l’impedimento nel conoscere gli azionisti retail sia una sorta di difesa, anche se c’è chi da tempo preme per una revisione della normativa. In casi come Ima, Massimo Zanetti, Panaria o Carraro, gli azionisti retail sono migliaia. Nel caso di Ubi erano quasi 140 mila. «Capita di dover lavorare su dati presunti, che però sono fondamentali», commenta il managing director di Morrow Sodali. «Nel caso di Guala, ad esempio, il retail contava su nemmeno 300 azionisti, ma tutti di peso». Una circostanza che spesso si verifica nelle società ex Spac, come Sicit.
Il peso del retail è in qualche misura il simbolo dei tempi che cambiano. «Un tempo con 30 telefonate avevi sostanzialmente il quadro della situazione. Oggi gli azionisti sono più preparati, trovano molte informazioni, non tutte aggiornate o corrette su blog e forum e spesso puntano sul rialzo del prezzo dell’offerta». Cattolica, solo per citare una delle operazioni più calde del momento, ha quasi 20 mila soci retail. E raggiungere questi azionisti adesso è importante. «Pensiamo torneranno in auge la lettera ai soci o il numero verde», spiega Di Segni. Ma all’aumentare dei numeri, il contatto resterà sempre complesso. (riproduzione riservata)
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