di Laura Magna
Un bonus per comprare sedie o monitor per i forzati dello smart working? È stata presentata come una novità dirompente del Decreto Sostegni che da poco è stato convertito in legge. Ma non è propriamente così. Perché, innanzitutto, non è del tutto una novità, ma solo una proroga. E perché in realtà non c’è nessun bonus.
Andiamo con ordine. L’emendamento a cui facciamo riferimento è quello che «proroga per l’intero 2021 l’aumento a 516,46 euro dei cosiddetti fringe benefits», aumento deciso nel 2020 nella prima decretazione di emergenza. I fringe benefit sono quella quota della retribuzione – non liquida – che le aziende possono concedere ai dipendenti ricevendo in cambio un beneficio fiscale. Tra i fringe benefit figurano il telefono e l’auto aziendale, per esempio. E dunque non è un bonus che eroga lo Stato ma una quota a totale carico dell’azienda, pur se esentasse.
«Non è una novità», conferma Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, «e non è corretto presentare questa decisione come un bonus. Si tratta, poiché parliamo di fringe benefit, di una liberalità dell’azienda, non di denaro che arriva dalle casse dello Stato. Il dipendente può fare richiesta, ma è il datore di lavoro il depositario della decisione finale. Si dà, in sostanza, alle aziende uno strumento per venire incontro alle esigenze nuove dei lavoratori, concedendo un regime fiscale agevolativo. Dare 516 euro in busta paga costerebbe di più, invece in questo caso i costi sono detassati». E dunque il doveroso chiarimento sulla misura non ne sminuisce la portata. «L’incremento in valore assoluto della soglia detassata – spiega Corso – è significativo perché fa fronte a un cambiamento di esigenze. Così come in molti casi le aziende hanno ridotto o eliminato i buoni pasto perché con l’home working viene meno l’esigenza di mangiare fuori, nascono nuovi bisogni in chi lavora da remoto, in particolare in termini di tecnologie e arredi che possano facilitare. Apparecchiature, sedie ergonomiche: le aziende possono acquistarle direttamente, farle recapitare ai lavoratori deducendone i costi. O, meglio ancora e più adatto allo spirito dello stesso smart working, dare la possibilità ai lavoratori di avere dei soldi netti in più da utilizzare per questi acquisti. Questo è un dato positivo e va nella direzione giusta». E le aziende destinatarie della misura, che stanno risparmiando costi di trasferta e in prospettiva anche legati agli uffici, dovrebbero avere ogni spazio di manovra e ogni interesse per venire incontro ai lavoratori fornendo strumenti più adeguati. «È un inizio di trasformazione dei sistemi di welfare, che tradizionalmente sono incentrati sulla sede di lavoro, e che devono diventare in un sistema ibrido flessibili e mobili. Io credo e spero che la misura diventi strutturale e non si torni a dimezzare l’ammontare e soprattutto che sia capita dalle imprese».
Qualcosa anche sul fronte delle aziende si muove: i datori stanno studiando modalità di supporto anche diverse, per esempio supporto psicologico, sistemi di e-health che la persona possa fruire da remoto. E c’è dell’altro. «Può sembrare che 516 euro siano pochi, ma in realtà, se erogati in maniera massiccia, possono creare un indotto importante in un mercato in crisi. Oltre a equiparare il lavoro da remoto a quello degli autonomi che da sempre possono scaricare le spese in attrezzature e tecnologie». (riproduzione riservata)
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