Per l’ex Bce Bini Smaghi, il sistema europeo dovrà somigliare di più a quello americano, con grandi banche Ue e un vero mercato unico dei capitali. Italia indietro sul consolidamento
di Luisa Leone
L’Italia è indietro nel processo di consolidamento bancario ma bisogna agire per creare sinergie, non per portare a termine salvataggi. Ne è convinto Lorenzo Bini Smaghi, presidente di Société Générale, già membro del Comitato esecutivo della Bce, che in questa intervista a Milano Finanza sostiene che in futuro il sistema bancario europeo dovrebbe somigliare di più a quello americano, con un mercato dei capitali integrato e dei campioni sovranazionali.
Domanda. Presidente, la pandemia ha messo a nudo alcune sfide ormai strutturali per le banche italiane e Ue, dalla questione della redditività alla gestione degli npl. Siamo di fronte all’inizio di una nuova era per il sistema?
Risposta. Il problema, per le banche italiane, non è diverso da quello delle banche europee in generale e riguarda il modello di business. A fronte di una regolamentazione più stringente, di tassi d’interesse bassi o addirittura negativi e di un mercato dei capitali europeo ancora poco integrato, la sfida è quella della redditività, che non riguarda solo la remunerazione degli azionisti ma anche come generare capitale aggiuntivo per erogare più credito alle famiglie e imprese e fornire servizi competitivi ai propri clienti. Non basta tagliare i costi, anno dopo anno, per assicurare una redditività sostenibile nel tempo. Bisogna avere i prodotti adeguati e la dimensione necessaria per poter incidere sui prezzi ed essere così in grado di generare un rendimento che compensi per il costo del capitale. Altrimenti si distrugge valore e prima o poi gli azionisti ne chiedono conto.
D. In Italia si è riaperto il dibattito sul tema del consolidamento, qual è il suo punto di vista?
R. Facendo il confronto con altri Paesi europei, appare evidente che il processo di consolidamento non è ancora completato in Italia. Tuttavia, per potersi realizzare le aggregazioni devono produrre sinergie. Il rischio è che ritardando troppo i tempi si distrugga ancor più valore e alla fine le operazioni vengano fatte solo per «salvare» qualcuno in difficoltà, magari scaricando una parte dei costi sul contribuente.
D. Il Fintech e la sempre maggiore presenza degli Ott nel settore finanziario faranno da pungolo alle aggregazioni?
R. Le Fintech erodono i margini di redditività delle banche che non riescono a competere. Chi riesce a stare sul mercato, invece, alla fine assorbe le Fintech, che hanno bisogno di dimensione per essere sostenibili. Una banca di grandi dimensioni, con un gran numero di clienti e di dati, diventa il porto di approdo ideale per chi sviluppa soluzioni tecnologiche.
D. In che modo il processo di ampliamento delle dimensioni degli istituti si coniuga con l’intreccio dei servizi bancari e assicurativi?
R. Con tassi d’interesse bassi il business tradizionale basato su depositi e impieghi non regge; è necessario diversificare i prodotti e offrire ai clienti servizi più remunerativi, sia per la banca sia per il cliente stesso. Per questo motivo il modello deve essere diversificato includendo prodotti come la banca privata, il wealth management, l’assicurazione e i servizi finanziari alle imprese. Questo richiede tuttavia una certa dimensione che garantisca economie di scala. Altrimenti ci si limita a distribuire prodotti altrui, il che richiede una architettura aperta molto efficiente, se no i margini sono troppo bassi.
D. Qual è il ruolo delle istituzioni di vigilanza, nazionali ed europee, in questi processi?
R. Le istituzioni europee cominciano a essere preoccupate del fatto che un sistema bancario poco redditizio rischia nel tempo di diventare fragile e di non riuscire a svolgere il ruolo che dovrebbe a sostegno dell’economia reale. D’altra parte, rimangono ancora in Europa troppi ostacoli regolamentari alle aggregazioni transfrontaliere e ancora molte incertezze su come verranno trasposte le nuove norme di Basilea. C’è, da parte delle autorità nazionali, ancora troppa attenzione a difendere le proprie prerogative, il che rende difficile la creazione di un vero mercato dei capitali europeo. Se non c’è un’accelerazione verso l’integrazione dei mercati finanziari, nei prossimi anni l’economia europea ne soffrirà fortemente.
D. Come coniugare la necessità di avere dei poli bancari forti con le esigenze dei territori e delle pmi?
R. È una tesi sbagliata e non confortata dai dati quella secondo cui il processo di concentrazione bancaria danneggerebbe le Pmi. È semmai il contrario. Una banca di dimensioni troppo piccole non riesce a essere sufficientemente diversificata e redditizia per investire in nuovi prodotti e in tecnologia. Rischia così di rimanere indietro. Se poi segue politiche di erogazione del credito poco attente, magari per una prossimità eccessiva con i clienti o per una governance poco trasparente, prima o poi rischia di trovarsi in difficoltà. Per evitare di trovarsi in questa situazione alcune banche sottodimensionate si limitano a impiegare i loro fondi in titoli di stato, il che non serve all’economia del territorio.
D. Se dovesse immaginare la struttura del sistema bancario europeo tra dieci anni, come lo descriverebbe.?
R. Spero che assomigli un po’ di più al sistema americano, con un mercato dei capitali integrato e alcuni gruppi bancari europei importanti, che facciano attività tradizionale ma anche banca d’investimento, senza la quale non può esserci mercato. È assurdo che per alcune operazioni di finanziamento rilevanti le aziende europee debbano far ricorso principalmente a banche americane, che tendono ad avere un atteggiamento opportunistico e, come si è visto anche di recente, in casi di crisi di liquidità tendono a tirarsi indietro. C’è bisogno di banche globali ma radicate in Europa, che aiutino l’economia europea a competere con Stati Uniti e Cina, non solo con servizi ma anche attirando investimenti dal resto del mondo. È assurdo pensare che il marketing delle aziende e dei titoli di stato europei possa essere fatto da istituzioni basate principalmente negli Stati Uniti. La politica europea non sembra capire l’importanza strategica della finanza come motore dell’economia. (riproduzione riservata)
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