di Anna Messia
Tante occasioni ma anche rischi, accresciuti dalla discesa in campo da big tech come Google e Amazon, che possono riuscire ad accedere ad informazioni importanti senza offrire reciprocità. La cosiddetta open insurance, ovvero la condivisione dei dati degli assicurati da parte di aziende esterne al settore, accelerata dall’utilizzo della nuova tecnologia spinta dalla pandemia, può rappresentare un’importante opportunità per accrescere la concorrenza e migliorare i prodotti e i servizi assicurativi a vantaggio dei sottoscrittori. Ma allo stesso tempo c’è bisogno di tutelare i consumatori che, prima di tutto, devono essere pienamente consapevoli del nuovo approccio digitale. Questioni affrontate dal segretario generale Ivass, Stefano De Polis, durante il convegno organizzato ieri mattina dallo Studio Ambrosetti, che ha ricordato che sul tema è aperto anche un confronto in sede europea, sollecitata dall’Eiopa, che raccoglie le autorità di settore.
Una questione che le banche, con l’open banking dettata dalla Psd2, hanno iniziato ad affrontare per prime e nel settore assicurativo c’è bisogno di tenere la guardia ancora più alta, considerando l’accresciuta sensibilità dei dati.
Nel business delle polizze «i dati essenziali presentano maggiore varietà, eterogeneità e talvolta sensibilità rispetto a quelli dei servizi bancari e di pagamento», ha osservato De Polis, aggiungendo che, oltre ai dati sul portafoglio delle coperture in essere e degli investimenti assicurativi «si tratta anche di informazioni relative ad esempio alla salute del cliente, al suo comportamento o alla sua mobilità, controllata da black box o altri device personali e domestici». Per questo motivo si potrebbe per esempio valutare l’opportunità di estendere l’open insurance solo ad alcuni rami o prodotti.
Inoltre nel mercato assicurativo ad essere coinvolte non solo le compagnie assicurative, ma anche gli intermediati, agenti e broker, che in Italia sono decisamente numerosi, pari a poco meno di 40 mila tra imprese e ditte individuali. A questo riguardo non vanno trascurati i costi per l’implementazione dell’open insurance, con le imprese, i distributori e gli altri operatori nel mercato che spesso utilizzano ancora tecnologie non aggiornate o non predisposte per l’interoperatività.
«Per il legislatore si pone il tema di individuare i dati condivisibili, oltre che i soggetti abilitati ad accedervi», sottolinea ancora il segretario generale Ivass, e sarà anche importante «individuare chi autorizza e chi controlla gli operatori di questo mercato», garantendo parità concorrenziale tra soggetti che svolgono le stesse attività o sono sottoposti agli stessi rischi».
Mentre riguardo alla possibile discesa in campo delle big tech, come già avvenuto nel settore bancario, va attentamente considerata l’eventualità di consentire a colossi come Facebook di «accedere a dati assicurativi senza offrire una reciprocità sulle loro banche dati perlopiù di origine commerciale», aggiungono da Ivass, considerando tra l’altro che «queste terze parti non finanziarie possono non essere soggette allo stesso livello di regolamentazione e supervisione e ai più elevati standard di tutela del consumatore validi per i soggetti vigilati». (riproduzione riservata)
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