Sono bastati 150 minuti netti del Seminario Web di ASSINEWS dedicato a «La responsabilità del datore di lavoro per i danni da contagio e la tutela di chi si ammala» per rispondere ai più impellenti interrogativi, chiarendo definitivamente tutti i dubbi giuridici accumulati negli ultimi mesi
di E. Marchetti e MR. Oliviero
Moderati dal Prof. Giulio Ponzanelli, i relatori, tra i massimi esperti del settore, sono riusciti a fornire risposte: chiare, precise e puntuali. Partendo dalla natura del contagio da Covid19, che il Decreto Legge n. 18 del 2020 ha preferito inquadrare come infortunio e non come malattia infettiva, si è potuta finalmente ristabilire la verità. Tranquillizzando quanti avevano lanciato immediatamente inutili allarmismi, soprattutto, rispetto alla responsabilità dei datori che aveva letteralmente gettato nel panico aziende ed imprenditori, ritenendo che: «La semplice estensione della copertura garantita dall’INAIL facesse sorgere ipso iure una nuova responsabilità datoriale.»
Il Consigliere di Cassazione
Sono bastate poche semplice parole pronunciate dal Consigliere di Cassazione Dott. Marco Rossetti per tracciare la linea e chiarire che: «L’attribuzione di un diritto» come quello che «ha esteso la copertura assicurativa dell’INAIL ai danni da contagio» non fa automaticamente «sorgere una responsabilità» in capo al datore di lavoro.
La responsabilità datoriale
In realtà, infatti, «l’attribuzione di un diritto fa sorgere un rapporto giuridico fra l’obbligato e il creditore. In questo caso fra l’INAIL e il lavoratore che si ammala. Ma questo non c’entra assolutamente nulla con la responsabilità datoriale che obbedisce a tutt’altri criteri». Quelli da sempre riconosciuti: una condotta colposa del datore, un danno del dipendente e un nesso di causa che leghi la condotta del datore al danno subito dal lavoratore.
«La civiltà di un popolo si misura dal numero di leggi di cui un paese non ha bisogno»
Eppure per scongiurare le eventuali responsabilità datoriali civili e penali, che erano state ventilate all’indomani dell’emanazione del Decreto, si era anche pensato di puntellarlo attraverso: leggi, decreti e circolari quanto, invece, sarebbe bastato attingere ai principi generali dell’attuale ordinamento giudico se non anche ai soli articoli del Codice Civile. La ridondanza normativa tipica del nostro paese che, soprattutto durante l’emergenza sanitaria, ha continuato a moltiplicare atti legislativi, attuativi e amministrativi è una tale aberrazione giuridica che spinge l’illuminato giurista a chiosare con una citazione alta: «La civiltà di un popolo si misura dal numero di leggi di cui un paese non ha bisogno».
Scudo giuridico a tutela dei sanitari
Coordinando gli interventi il Prof. Giulio Ponzanelli è intervenuto sul tema, politicamente e giuridicamente, caldissimo dello scudo giuridico proposto a tutela dei sanitari. Precisando che l’attenzione sulle eventuali responsabilità dovrà concentrarsi, inevitabilmente, sulle strutture, per le decisioni prese durante la gestione dell’emergenza. E non sui singoli medici, colpevoli solo di aver dovuto affrontare casi urgenti in piena emergenza. Posizione già valutata da consolidati orientamenti giurisprudenziali.
Risk Management
Di rimando anche il Dott. Alessandro De Felice, Presidente dell’ ANRA, l’Associazione Nazionale dei Risk Manager e Responsabili Assicurazioni Aziendali ha messo in guardia sul possibile aumento dei rischi in capo agli amministratori delle grandi imprese, proponendo di cambiare filosofia in merito all’analisi dei rischi. Conferendo maggior importanza alla gravità dell’evento invece che alla probabilità che questo accada.
L’ontologica essenza della natura del contagio
Ma se per le evidenti ripercussioni giuridiche ed economiche si è finalmente riusciti a fornire a datori, amministratori e assicuratori, una risposta chiara sulle responsabilità, rimangono, invece, delle divisioni sull’ontologica essenza della natura del contagio. Perché nonostante le resistenze della medicina legale, il dott. Patrizio Rossi, Sovrintendente Sanitario Nazionale dell’INAIL rivendica la scelta normativa dell’infortunio, anche sulla scorta di precedenti storici che hanno sempre così classificato le malattie infettive come il Carbonchio nel 1935.
La dottrina medico legale
Da medico legale, il Dott. Luigi Mastroroberto è convinto, invece, che il contagio da COVID19 non possa che essere definito come malattia professionale perché infettiva. Considerando anche che le polizze infortuni vendute dalle compagnie assicurative private solitamente non prevedono le infezioni. Anche se chiaramente ogni polizza assicurativa include tutti quei casi previsti dalle condizioni generali accettate dal contraente, senza che la legge possa in qualche modo intervenire ed influire, soprattutto, successivamente la stipula del contratto. Sicuramente non si può riflettere sulle polizze infortuni quanto deciso per l’INAIL dal secondo comma dell’art. 42 del decreto legge n. 18 del 2020: «Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL».
Gli assicuratori
Il rapporto, e le eventuali conseguenze, tra la qualifica di infortunio INAIL rispetto alle polizze infortuni private deve, però, essere definitamente chiarito. Lo ha chiesto il mercato attraverso la voce della Dott.ssa Giovanna Gigliotti, Amministratore Delegato UniSalute Spa, ricordando che, invece, la polizza RCO è sempre operante se viene riconosciuta la responsabilità del datore di lavoro, in caso di contagio. Posizioni riprese in conclusione anche dal Dott. Umberto Guidoni, Direttore Business dell’ANIA, l’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici, perché necessarie per conferire maggior stabilità al settore assicurativo che in questo periodo, più che mai, ha bisogno di certezze per garantire assistenza e sicurezza ai propri clienti.