di Bianca Pascotto

A volte non basta aver ragione, anzi, nelle aule giudiziarie ciò che è principalmente importante è poterne fornire la prova.

Questo onere è posto a capo sia dell’attore che del convenuto, anche se con modalità differenti, e proprio di questo si è occupato il Supremo Collegio con l’ordinanza n. 7749 del 8 aprile.

Un produttore di vino aveva sottoscritto una polizza diretta a tutelare la qualità del suo prodotto. Rovinatasi la produzione a causa della aldeide acetica, l’assicurato denuncia il sinistro alla propria compagnia la quale però gli eccepisce l’inoperatività della garanzia, ritenendo l’evento escluso dalla copertura assicurativa.

Adite le vie giudiziarie, il produttore vedeva respinta la sua pretesa, sia in primo che in secondo grado.

Avanti al Supremo Collegio, invece, l’assicurato trovava soddisfazione delle proprie ragioni, vedendo accolti due dei quattro motivi di ricorso, che afferivano, l’uno all’onere della prova e l’altro alla corretta interpretazione del contratto assicurativo.

Richiamandosi al disposto dell’art. 2697 c.c.[1] e alla ripartizione dell’onere probatorio, la Cassazione ribadisce il principio che “nel giudizio promosso dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore …è onere dell’attore (assicurato ndr) provare che il rischio avveratosi rientra nei “rischi inclusi”, e cioè nella categoria generale dei rischi oggetto della copertura assicurativa; tuttavia qualora il contratto contenga clausole di delimitazione del rischio indennizzabile, spetta all’assicuratore dimostrare l fatto impeditivo della pretesa attorea e, cioè, la sussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione di dette clausole”.

Nel caso di specie la polizza prevedeva:

1) la copertura “di tutti danni materiali e diretti, anche conseguenziali causati alle cose assicurate anche di proprietà di terzi, da qualsiasi evento, qualunque ne sia la causa”;

2) l’art. 26 disponeva che “l’assicurato deve provare, oltre al verificarsi del rischio, soltanto che esso non sia la concretizzazione dei fatti indicati al comma b)10 delle “esclusioni”, cioè la condotta dolosa dell’assicurato”.

Il Supremo Collegio, pur non dimenticando l’orientamento in forza del quale la semplice negazione della copertura assicurativa da parte della compagnia, non costituisce una eccezione vera e propria (la cosiddetta mera difesa ndr) ed in quanto tale non deve essere provata, precisa il seguente parallelismo:

  1. a) se è onere dell’attore dimostrare i fatti posti a fondamento della sua pretesa – ergo l’assicurato deve provare che il rischio rientra nella copertura assicurativa;
  2. b) allora è parimenti onere del convenuto che eccepisce un fatto impeditivo della pretesa azionata, provare il fatto a fondamento della sua eccezione – ergo la compagnia deve dimostrare che l’evento rientra tra i rischi espressamente esclusi dalla polizza.

Un tanto sia in ragione del principio di ripartizione della prova di cui all’art. 2697 c.c., sia in ragione della clausola contrattuale contenuta nell’art. 26, perfettamente valida e operante tra le parti, la quale statuiva che l’unico onere probatorio in capo all’assicurato era quello di dimostrare l’evento e l’assenza di una sua condotta colposa.

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[1] Art 2697 codice civile “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato, o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.

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