Le schermaglie con il vertice Ubi e le discussioni in corso con l’Antitrust possono rallentare l’operazione. Ma a decidere sarà il mercato. Che si concentrerà soltanto sulle condizioni dell’offerta pubblica di scambio e sul progetto industriale
Carlo Messina
di Luca Gualtieri
Non può esserci una vera governance fino a quando ci sarà il dominio delle minoranze. Nei giorni scorsi un banchiere citava le parole di Guido Rossi in riferimento all’ops di Intesa Sanpaolo su Ubi. Dopo le schermaglie di questi mesi la partita decisiva tra i due istituti si giocherà infatti tra luglio e settembre quando, espletati gli ultimi passaggi autorizzativi, potrà partire l’offerta agli azionisti. A quel punto a decidere sarà la maggioranza, cioè il mercato, fatto non sempre scontato nel sistema finanziario italiano.
Passo dopo passo ci si sta avvicinando a quel momento. Già oggi Ca’ de Sass (assistita da Mediobanca e dallo studio Pedersoli) ha all’attivo il via libera preliminare della Bce e potrebbe incassare in tempi brevi la luce verde di Consob sul prospetto informativo e dell’Ivass sulle attività nel settore assicurativo. Le manovre di disturbo comunque non sono mancate, dagli esposti in Consob alle azioni legali, mentre si mormora di nuove iniziative in arrivo da parte dello studio Bonelli Erede. Inatteso forse da qualcuno ma del tutto comprensibile è poi il rigore con cui l’Antitrust sta analizzando il deal costringendo le parti a rivederne il perimetro. Proprio la prossima settimana si aprirà il confronto finale con l’authority guidata da Roberto Rustichelli che concluderà l’istruttoria entro luglio. Difficilmente però queste complicazioni sortiranno altro effetto che ritardare il lancio dell’ops.
A un certo punto però al tavolo si siederà un giocatore che finora è rimasto in silenzio ma che risulterà determinante per l’esito della partita, il mercato. Se oggi i tre patti blindano quasi il 30% di Ubi e se sull’8% detenuto dal fondo Parvus è legittimo nutrire qualche incertezza, il resto del capitale è distribuito tra retail (25%) e investitori istituzionali (quasi il 40%). Sarà questo il terreno su cui si combatterà la battaglia per il controllo di Ubi e dove conteranno le condizioni dell’offerta e il progetto industriale.
La zampata di Intesa su Ubi riapre quel consolidamento che sembra ormai la direzione obbligata del sistema bancario. Da un lato, in uno scenario caratterizzato da tassi negativi e da crisi economica, la dimesione è lo strumento più efficace per realizzare sinergie di costo e ricavo. Dall’altro, la concorrenza di fintech e big tech si sta facendo serrata. Spazio per il consolidamento sembra esserci soprattutto per le banche medie, tra cui il livello di frammentazione è superiore alla media europea. E se l’ultima ondata di fusioni, nel 2006-2007, ha interessato soprattutto i grandi istituti, oggi banker e investitori si aspettano una semplificazione tra i pesi medi. Questa è anche la convinzione della Vigilanza, come ha spesso ribadito il presidente del supervisory board Bce Andrea Enria. L’operazione Intesa-Ubi va in questa direzione e sulla carta gli azionisti di Ubi potrebbero trarne profitto: si stima che il nuovo gruppo avrà meno costi e più ricavi e probabilmente dividendi più alti da distribuire. Nel dettaglio, la redditività dovrebbe beneficiare di sinergie annue ante imposte per 730 milioni a regime (680 milioni entro il 2023 e ulteriori 50 milioni entro il 2024), di cui 510 da costi e 220 da ricavi (pari all’1% dei ricavi pro-forma 2019 del gruppo risultante dall’operazione). Sinergie che Intesa è convinta di poter realizzare anche con una maggioranza semplice del 50% più un’azione, che pure non consentirebbe il controllo dell’assemblea straordinaria. La proposta di Intesa si concentra anche sulla qualità dell’attivo: per quest’anno sono previste rettifiche addizionali per 1,2 miliardi utilizzando parte del goodwill negativo risultante dall’operazione, mentre per il 2021 è in programma la cessione di 4 miliardi di npe di Ubi, costituiti dalle posizioni con elevata copertura. Iniziative che irrobustirebbero l’asset quality del gruppo di Victor Massiah, che oggi ha un gross npe ratio del 7,5%, quasi la metà del picco raggiunto a metà 2016. «Il problema», spiega Bofa in un report, «è che il coverage di Ubi sui crediti deteriorati è appena sotto il 40%. La banca però sostiene che, includendo i write-off il coverage salirebbe al 52%, livello più allineato con la media dei competitor ma sotto il 65% di Unicredit». Sinegie, derisking e patrimonializzazione (il Cet1 dovrebbe superare il 13% nel 2021) sono stati del resto gli aspetti su cui si è maggiormente concentrata la Bce nel processo istruttorio sfociato la scorsa settimana nell’autorizzazione preliminare all’ops. Tra le valutazioni favorevoli del progetto industriale c’è stata quella di Santander: «Crediamo che la logica industriale dell’affare rimanga solida, soprattutto visti i venti contrari di Covid-19», hanno scritto gli analisti della banca spagnola qualche giorno fa.
Quanto alla remunerazione dei soci, vale la pena analizzare il track record delle due banche: gli analisti hanno calcolato che negli ultimi 5 anni Ubi ha avuto un rapporto prezzo-patrimonio medio dello 0,49 contro l’1,01 di Intesa. Per quando riguarda il flusso cedolare, tenendo conto del rapporto di concambio, negli ultimi 5 anni gli azionisti di Intesa sono stati remunerati 2,7 volte più di quelli di Ubi. E se per tutto il 2020 il Covid lascerà a bocca asciutta i soci delle banche, l’offerta prevede la distribuzione di una cedola di 0,20 euro per l’esercizio 2020 e superiore a 0,20 euro per l’esercizio 2021 (payout ratio del 75% nel 2020 e 70% nel 2021).
C’è poi l’aspetto non secondario del concambio. L’operazione costruita da Carlo Messina prevede che per ogni azione Ubi siano consegnate 1,70 azioni Intesa, rapporto che al 14 febbraio scorso esprimeva un premio ante-dividendo del 28% (che saliva al 39% rispetto al prezzo spot e a quello medio ponderato per i volumi dei sei mesi che hanno preceduto l’annuncio del deal). Se è vero che nei mesi successivi le fibrillazioni del mercato si sono fatte sentire, è pur vero, sottolineano gli analisti, che oggi il prezzo delle azioni Ubi incorpora ancora il premio legato all’operazione. Per rendersene conto basta guardare al comparto delle ex banche popolari: a fine 2019 Banco Bpm quotava a un price to book value del 35% inferiore a quello di Ubi, mentre venerdì 12 giugno il multiplo di Piazza Meda era appena la metà di quello del gruppo di Massiah. A fine 2019 inoltre Bper quotava a 0,47 volte il book rispetto alle 0,35 di Ubi, mentre oggi i valori si sono invertiti e sono rispettivamente 0,24 per Bper e 0,30 per Ubi. Un vantaggio che si ridurrebbe rapidamente se l’ops venisse ritirata o non andasse in porto. «In un’ottica stand alone il prezzo dell’azione Ubi ci sembra caro», puntualizzavano sempre gli analisti BofA. Considerazioni ribadite dalla banca americana anche in una pubblicazione successiva: «Se il deal non si completa, le azioni Ubi potrebbero soffrire».
Se la componente economica dell’offerta sarà insomma l’aspetto principale su cui si concentrerà l’attenzione degli azionisti retail e istituzionali, alcuni aspetti della proposta di Intesa sono rivolti anche agli stakeholder più attenti al territorio. Il progetto prevede infatti la creazione di quattro nuove direzioni regionali di Bergamo, Brescia, Cuneo e Bari (che faranno riferimento alla divisione Banca dei Territori). Alla guida di queste nuove strutture dovrebbero andare manager Ubi, a conferma dell’apprezzamento di Intesa per le professionalità presenti nel gruppo lombardo. Rimane inoltre confermata la volontà di collocare a Bergamo, Brescia e Cuneo le attività della Banca d’Impatto, rivolte in particolare al sociale. Quanto alla clientela, con il nuovo gruppo sono previste ulteriori erogazioni di credito per 10 miliardi all’anno nel triennio 2021-2023: in totale 30 miliardi. È anche in programma l’istituzione dei consigli del territorio: cabine di regia per il coordinamento degli interventi formati da esponenti della banca e personalità di spicco del tessuto locale. È poi prevista la valorizzazione del brand Ubi nei territori di riferimento se con analisi di gradimento rivolta ai clienti dovesse risultare migliore di Intesa. Nelle intenzioni della Ca’ de Sass infine il nuovo gruppo vedrà la creazione di un centro di eccellenza a Pavia per l’agricoltura, un struttura che coordinerà le attività del gruppo nel settore agricolo. (riproduzione riservata)
Fonte: