di Luca Gualtieri
Da venerdì 29 maggio il filing dell’operazione Delfin-Mediobanca è ufficialmente al vaglio della Banca Centrale Europea che avrà 60 giorni per esprimersi. Chi si aspettasse un passaggio poco più che formale sbaglierebbe perché a Francoforte l’esame per le richieste di acquisto di partecipazioni qualificate è dei più rigorosi. E sebbene qualche osservatore scommetta già su una luce verde per la holding guidata da Leonardo Del Vecchio e lanciata verso il 20% di Mediobanca, i requisiti previsti dalla normativa dovranno essere puntualmente soddisfatti.
La materia è regolata dalla direttiva Crd IV del 2013 che stabilisce un iter preciso per chiunque nel capitale di un istituto vigilato superi il 10%, il 20%, il 30% o il 50% in termini di azioni o di diritti di voto. Circostanza peraltro non molto frequente nelle vicende bancarie europee, specie se il compratore è un soggetto privato. Solo in Italia si contano pochissimi casi tra cui quelli dei Malacalza in Carige, dei Maramotti nel Credito Emiliano e di Sebastien Egon Fürstenberg in Banca Ifis. Istituti peraltro con peso specifico assai inferiore rispetto a Mediobanca che, attraverso il suo 12,8% di Generali, rimane uno dei crocevia più delicati della finanza italiana.
In questi casi insomma l’esame della Bce è molto meticoloso. In primo luogo Francoforte analizza la reputazione dell’eventuale compratore in termini di integrità e affidabilità, concentrandosi sulle competenze professionali e soprattutto sul track record nell’industria finanziaria come manager o investitore. In secondo luogo la lente si sposta sui cambiamenti che il socio intende apportare alla governance della banca e al profilo dei manager e degli amministratori che potrebbe candidare. Va notato che per il momento Delfin non ha manifestato l’intenzione di intervenire sulla prima linea di Mediobanca e anzi potrebbe non presentare una lista in vista del rinnovo del cda di ottobre. Bce analizza quindi la solidità patrimoniale del compratore che deve indicare le fonti di finanziamento e offrire assicurazioni sulla stabilità finanziaria del progetto. Francoforte accerta infine da un lato che gli acquisti non abbiano effetti negativi sulla stabilità finanziaria della banca e dall’altro lato che la struttura societaria del compratore non abbia un eccessivo livello di complessità. A questo proposito qualche osservatore punta l’indice sull’alto numero di veicoli coinvolti nella scalata a Mediobanca: oltre a Delfin, in campo ci sono Aterno e Dfr investment, entrambi controllati dalla holding e tutti domiciliati in Lussemburgo.
Ma l’aspetto più delicato da smarcare sarà forse un altro: la scalata di Del Vecchio è ostile? Bce ha finora guardato con diffidenza a operazioni che non fossero concordate e che quindi potessero destabilizzare la governance e la gestione degli istituti vigilati. Se i toni usati da Delfin negli annunci ufficiali sono sempre stati concilianti, la banca centrale potrebbe comunque chiedere ulteriori rassicurazioni per dissipare eventuali sospetti.
Mentre a Fraconforte inizia a dipanarsi il lavoro dei tecnici, tra i soci storici di Piazzetta Cuccia regna un clima di attesa.
A interrogarsi sulle prossime mosse di Del Vecchio sono soprattutto i pattisti riuniti nell’accordo di consultazione che oggi blinda il 12,6%. Blinda per modo di dire perché sulle azioni sindacate non c’è alcun vincolo di possesso e le quote possono essere cedute dopo una semplice comunicazione al patto. Per il momento comunque nessuno ha ancora preso decisioni (l’unica riunione in calendario per il patto rimane fissata per il 22 settembre) e sembra che la stessa linea attendista sia condivisa dagli altri soci a partire da Vincent Bolloré (6,73%) e Unipol (1,96%). (riproduzione riservata)
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