di Francesco Bertolino
Gli italiani detengono oltre due terzi del debito pubblico nazionale. Stando ai dati Eurostat aggiornati a fine 2019, con il 68,5% l’Italia è il quinto Paese in Europa in questa classifica dopo Malta (84,8%), Svezia (80,7%), Danimarca (74,2) e Croazia (69,3%). La quota in mano a non residenti, tuttavia, è aumentata rispetto a fine 2018, passando dal 29,4 al 31,5%, seppur ancora lontana dalle percentuali toccate in Francia (50,2%) e Germania (48,3%). Non a caso, nell’intervista pubblicata nel numero Milano Finanza in edicola, il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha detto di voler «guadagnare e preservare» la fiducia degli investitori esteri. In discesa dal 65,1 al 62,7%, invece, la partecipazione dei gruppi finanziari residenti, mentre si attesta al 5,8% la quota in mano agli investitori non finanziari residenti (industria, no-profit e famiglie), minoritaria e tuttavia ben superiore a quella di Spagna (0,2%), Francia (1,4%) e Germania (2,1%). Ciononostante, il governo sta tentando di incrementare ancora la partecipazione del retail con l’obiettivo di rendere il debito pubblico italiano meno sensibile a choc endogeni ed esogeni e in definitiva più sostenibili (si veda Orsi & Tori di sabato 20 giugno) Un fattore di destabilizzazione potrebbe invece derivare dalla quota di titoli di Stato con scadenza inferiore a un anno che per l’Italia è in crescita al 15%. Ciò comporta una necessità continua di rivolgersi al mercato, anche in finestre poco favorevoli. Il costo di servizio del debito pubblico italiano è del resto fra i più alti d’Europa. (riproduzione riservata)
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