GIURISPRUDENZA

Sussistenza di una garanzia semi-sconosciuta, celata fra le pieghe della normativa di polizza

Autore: Clemente Fargion
ASSINEWS 321 –  luglio-agosto 2020 

Il fatto
Il verificarsi di numerosi casi di intossicazione nei Comuni limitrofi ad una zona industriale del Pavese, in cui si trovavano alcune industrie chimiche, fece scattare le indagini della magistratura che portarono a identificarne la causa nella presenza di ciclo-alcheni nell’acqua potabile dei Comuni interessati dal fenomeno. Nell’area si trovavano alcune industrie chimiche, su due delle quali si concentrò l’attenzione degli inquirenti. Non essendo riusciti ad escludere nessuna delle due industrie nel mirino delle indagini, la Magistratura ha mantenuto aperte le ipotesi di incriminazione di entrambe.

L’indagine della Magistratura
La mancanza di prove che assegnassero ad una sola di esse le responsabilità in merito al rilascio nell’acqua di falda di residui alchilici, altamente inquinanti per la facilità della molecola di rompersi, formando composti anche imprevisti con altre sostanze presenti nell’acqua anche se solo a livello di tracce, spinse l’Autorità giudiziaria a decidersi per una chiamata in correo delle due personalità giuridiche.

Vennero attivate le azioni legali da parte delle famiglie – nelle quali si erano verificati casi di intossicazione – costituitesi nel frattempo parte civile. L’inchiesta richiese parecchi mesi, ma alla fine le indagini della Magistratura portarono a concludere che esisteva una responsabilità penale per lesione personale plurima a carico di ciascuna industria chimica, entrambe chiamate a rispondere anche dei danni arrecati alle persone ai sensi dell’art. 185 del codice penale, libro primo, titolo VII, delle sanzioni civili del reato contro la persona e degli artt. 2043 e 2059 del codice civile. Tutto ciò con la condizione sospensiva che qualora una delle due società incriminate avesse prodotto le prove della propria estraneità ai fatti, sarebbe stata prosciolta in seconda istanza.

Le famiglie costituitesi parte civile erano 29, ciascuna delle quali, per tramite del proprio legale, fece pervenire la propria richiesta economica. Sarebbe stato compito del Tribunale stabilire le modalità di suddivisione dell’obbligo risarcitorio fra le due personalità giuridiche, ma da un punto di vista assicurativo le cose erano complicate. Una delle due società chimiche aveva in corso una copertura assicurativa ambientale, fondata sulla doppia sezione per danni a terzi e per copertura delle spese di bonifica dell’ambiente, mentre l’altra aveva ancora una vecchia polizza di responsabilità civile da inquinamento, basata sulla sola sezione dei danni a terzi.

Fermo restando che occorreva attendere la sentenza per avere la certezza che la partizione dell’obbligo risarcitorio a carico dei due soggetti inquisiti sarebbe stata in parti uguali, la compagnia che aveva in corso la polizza RC inquinamento a sezione unica decise di procedere alla fase liquidativa sulla presunzione di una partizione al 50% fra i due soggetti. Trattandosi di una polizza tradizionale, era impostata sulla considerazione di ogni singola richiesta di risarcimento come un sinistro a se stante, ai fini del calcolo della franchigia, che pertanto si sarebbe applicata singolarmente ad ognuna delle 29 richieste di risarcimento, con conseguente cospicuo abbattimento dell’importo liquidato.

L’altra compagnia aveva invece in corso una più moderna polizza ambientale, fondata sulla duplice sezione:
• RC inquinamento
• Danno ambientale.

La seconda sezione era limitata alla refusione delle spese di bonifica dell’ambiente contaminato, a condizione che l’assicurato fosse tenuto per legge o per disposizione dell’Autorità Giudiziaria a sostenerle a carico proprio.

La decisione della Magistratura
Un mese più tardi i due assicurati vennero raggiunti da una comunicazione che ingiungeva ciascuno dei due a bonificare l’ambiente contaminato o, in mancanza, di dar corso ad una richiesta di risarcimento da parte dell’avvocatura dello Stato, ai sensi della legge 8 luglio 1986 n. 349, art. 18, per danneggiamento delle acque pubbliche. Ricordiamo che la legge 349/1986 definisce l’ambiente naturale, costituito da aria, acqua e suolo, compresa flora e fauna, quale ente giuridico meritevole di risarcimento.

La risposta assicurativa
La compagnia assicuratrice che aveva emesso la polizza a due sezioni, rigettò la richiesta di indennizzo all’assicurato della somma che era chiamato a pagare per la propria quota di danno all’ambiente, giacché la polizza consta di due sezioni:
• la sezione prima (RC inquinamento) che tiene indenne l’assicurato di ogni richiesta di risarcimento pervenuta da terzi per danni patiti in termini di lesioni personali o danni materiali a seguito di utilizzo delle risorse naturali rese insalubri dalla contaminazione per immissione di sostanze fuoriuscite dallo stabilimento dell’assicurato stesso;
• la seconda sezione (danno ambientale) per la copertura delle spese di bonifica che l’assicurato fosse tenuto per legge ad effettuare a spese proprie a seguito di contaminazione dell’ambiente per fatto a lui imputabile, ma non già la rifusione dei danni provocati all’ambiente.

La compagnia interessata ritenne pertanto la richiesta di risarcimento pervenuta dall’Avvocatura dello Stato per danno all’ambiente, ai sensi della legge 349/86, esclusa dalle circostanze garantite a norma delle due sezioni di polizza. L’altra compagnia, detentrice della polizza a sezione unica, decise di respingere la richiesta del proprio assicurato di essere tenuto indenne della richiesta di risarcimento pervenuta dall’Avvocatura dello Stato, in quanto la propria polizza non prevedeva l’operatività della sezione seconda, tipicamente dedicata al danno ambientale. Dietro suggerimento del proprio legale di fiducia, l’assicurato con polizza a sezione unica, decise di compiere i propri passi per il riconoscimento del proprio diritto all’indennizzo da parte della compagnia per danni richiesti ai sensi dell’articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349.

Nell’istanza, inoltrata alla compagnia di assicurazioni, si sosteneva che poiché l’oggetto dell’assicurazione parla di danni a terzi in termini di lesioni personali e danneggiamenti a cose, l’ambiente, qualificato dalla legge 349/86 quale bene meritevole di risarcimento, nella casistica prevista dall’oggetto dell’assicurazione, poteva a pieno titolo essere considerato una “cosa”, della quale lo Stato poteva dirsi titolare nel nome dell’interesse comune di tutti i cittadini.

Con questi presupposti il danno alle acque per contaminazione poteva a tutti gli effetti essere fatto rientrare nell’Oggetto dell’Assicurazione della Polizza base.

La decisione del Tribunale
La vertenza durò qualche anno, attraverso numerose udienze e rinvii, ma pervenne ad una sentenza definitiva che condannava la Compagnia a pagare quel danno, per lo meno nella misura determinata dalla partizione decisa dal Tribunale a fronte di un concorso di colpa.

La compagnia che aveva emesso la polizza a doppia sezione, non venne coinvolta in questa appendice giudiziaria, in quanto avendo spiegato al proprio assicurato che il danno all’ambiente era escluso in quanto non era operante la sezione seconda di polizza, l’assicurato stesso non obiettò alcunché.