Ferma restando la necessità di un rigoroso accertamento medico-legale da compiersi in base a criteri oggettivi, la sussistenza dell’invalidità permanente non può essere esclusa per il solo fatto che non sia documentata da un referto strumentale per immagini sulla base di un automatismo che vincoli, sempre e comunque, il riconoscimento dell’invalidità permanente a una verifica strumentale.
La normativa introdotta nel 2012 ha certamente come obiettivo quello di sollecitare tutti gli operatori del settore (magistrati, avvocati e consulenti tecnici) a un rigoroso accertamento dell’effettiva esistenza delle patologie di modesta entità, cioè quelle che si individuano per gli esiti permanenti contenuti entro la soglia del 9 per cento, precisando, però, che il rigore che il legislatore ha dimostrato di esigere – che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia – non può essere inteso, però, come pure alcuni hanno sostenuto, nel senso che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale. Infatti, l’accertamento medico non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale, posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza.
Occorre, pertanto, ribadire che ferma restando la necessità di un rigoroso accertamento medico-legale da compiersi in base a criteri oggettivi, la sussistenza dell’invalidità permanente non possa essere esclusa per il solo fatto che non sia documentata da un referto strumentale per immagini, sulla base di un automatismo che vincoli, sempre e comunque, il riconoscimento dell’invalidità permanente ad una verifica di natura strumentale.
Essa, per vero, non ha solo affermato la possibilità di risarcire postumi di invalidità che, pur non suscettibili di accertamenti strumentali, risultino, tuttavia, riscontrabili sulla base di una ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medico-legale, ma ha pure evidenziato come, nel caso di specie, all’esito dell’espletata CTU, si fosse giunti all’affermazione dell’esistenza del danno e a una sua valutazione sulla base di una verifica obiettiva svoltasi nel contraddittorio di tutte le parti e i consulenti, senza lasciare spazio a facili narrazioni e/o simulazioni da parte della vittima.
Ciò che dimostra come, anche nella presente fattispecie, sia stato osservato il modus operandi richiesto dalla giurisprudenza e che implica l’esistenza di un rigoroso accertamento dell’effettiva esistenza delle patologie di modesta entità, senza esigere, però, che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale.
L’esistenza di una lesione al rachide cervicale, a prescindere dalla non contestazione operata dalle odierne ricorrenti, risulta essere stata accertata – secondo la sentenza impugnata – all’esito dell’espletata CTU, tanto bastando, dunque, per ritenerla provata.
Si consideri, infatti, che quando il danno lamentato dall’attore consista in un pregiudizio arrecato alla sua integrità psicofisica, la consulenza tecnica, come di regola (ma non esclusivamente) avviene nella cause di responsabilità sanitaria, è di norma consulenza percipiente a causa delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie, non solo per la comprensione dei fatti, ma per la rilevabilità stessa dei fatti, i quali, anche solo per essere individuati, necessitano di specifiche cognizioni e/o strumentazioni tecniche, sicchè la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, sebbene resti pur sempre necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti, come, peraltro, avvenuto nella fattispecie in esame.
Cassazione civile sez. III, 18/04/2019 n. 10816