di Alfredo Borrelli e Alfonso M. Balotta
La brand protection, concetto da millennium, può avere una correlazione con la frode, illecito la cui nascita possiamo invece ritenere coeva a quella dell’uomo? Certamente sì e vediamo come. L’analisi delle realtà societarie mostra continue evidenze secondo cui più un’azienda è competitiva, maggiore è lo spettro dei rischi a cui è esposta. In particolare, si tratta di tutelare non solo prodotti e fatturati ma, nel complesso, tutti i beni intangibili e tangibili (reputazione e margini). Tra le fonti di rischio con elevato indice di pericolosità, emerge quindi la frode, ancor di più se generata da tecniche innovative, i cui presìdi di controllo sono sostanzialmente suddivisi in due categorie: comportamentali e tecnologici. Mentre i primi finiscono per diventare limitati e limitanti, a causa della loro lentezza operativa, per i secondi sorge la necessità di analizzare un’ingente mole di dati che comporta l’uso di metodologie di non facile acquisizione. Per spiegare meglio questi concetti, prendiamo a esempio il settore assicurativo. Il punto di partenza è che non esiste un dato quali/quantitativo condiviso (quante frodi avvengono?, in quale area o verticalizzazione?, a quanto ammontano i danni provocati?). Inoltre (nonostante, in genere, le modalità con cui si concretizzano le frodi siano spesso simili) le aziende sono ancora restie all’adeguamento dei sistemi operativi e, perciò, ancorate ad approcci reattivi e non preventivi. La soluzione? Sicuramente, quella di procedere all’interpretazione dei flussi informativi in lassi temporali molto ristretti. Approcciare tecnologicamente, più che un claim, significa allora costruire modelli di marketing intelligence per l’analisi delle informazioni a fini predittivi e, cioè, inserire un’attività di digital marketing intelligence all’interno di un tradizionale percorso di protezione aziendale.
Occorre, in generale, considerare la sentiment analysis come elemento di innovazione aziendale che consente di sostenere le attività di crisis management e, più specificamente, dare pregnanza al concetto di data management. Tutto ciò, permette di delineare un modello che potremmo definire Digital Frauds Silent Check. Esso parte, rimanendo nel campo assicurativo. dalle fondamentali esigenze di ogni compagnia assicurativa e, quindi, garantire informazioni attendibili su: un già cliente; un prospect (l’identità della persona; il bene da assicurare; la storia assicurativa; il territorio dove abita, vive o insiste il bene da assicurare; il settore merceologico; il profilo base di natura economico/finanziaria); gli hidden data (gli avvenimenti territoriali; trend di mercato del settore merceologico di appartenenza; periodicità di episodi sospetti; dati relativi alla storia dell’azienda). Questo sistema genera un incrocio tra informazioni endogene ed esogene, finalizzato a una classificazione di rischio oggettiva. Prendiamo un caso concreto, per l’azienda che chiameremo X, risultata fallita nel 2016 e distrutta per incendio nel 2019. Se fosse stato attivato il modello Digital Frauds Silent Check e l’azienda X fosse stata già cliente, l’alert avrebbe generato maggiori controlli, prevedendo la possibilità della concretizzazione di una frode. Nel caso in cui l’azienda X fosse stata un prospect, il modello – mantenendo attivo un sistema di costante monitoraggio della rete (dal 2011, 2.830 risultati in Serp sull’azienda X) – avrebbe consigliato la non assunzione del rischio da parte della compagnia di assicurazioni, se il modello di assunzione avesse previsto come alert società in liquidazione. In sintesi, l’attività umana interpretativa è ancora al centro del concetto di antifrode ma, per poterci restare, ha solo una strada da intraprendere: la scelta della migliore tecnologia da impiegare come strategia di difesa. (riproduzione riservata)
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