Scena numero uno: Italia, tra qualche anno. In una qualsiasi delle nostre città, anche nella Capitale oggi assediata dai rifiuti, non servirà più fare la raccolta differenziata. Ci penseranno gli smart bin, i cestini intelligenti, che analizzano in tempo reale che cosa viene gettato mediante analisi video e intelligenza artificiale, e lo smistano nel corretto comparto, per poi poterlo smaltire o riciclare correttamente.

Scena numero due: San Francisco, California, qualche settimana fa. I sistemi di riconoscimento facciale utilizzati dall’autorità pubblica vengono per la prima volta vietati negli Stati Uniti perché le tecnologie disponibili non sono ritenute affidabili, in particolare nell’identificazione di donne o persone con la pelle scura, e rappresentano un’invadenza eccessiva e non necessaria della privacy delle persone. Un messaggio di grande impatto, contro una delle tecnologie più controverse. Basti pensare che in Cina sono state installate centinaia di milioni di telecamere collegate al sistema Skynet, che è in grado di riconoscere in mezzo a una folla volti e persone, allo scopo di prevenire il crimine.

Entrambi questi casi rappresentano un esempio di città smart o «intelligenti». Quelle cioè, dove grazie al 5G, la rete che trasmette in tempo reale grandissime quantità di dati, tutto — dal trasporto pubblico alla sicurezza agli ospedali — sarà connesso ed efficiente. E dove nasceranno, inevitabilmente, dibattiti legati alla privacy e alla sicurezza: che cosa accade ai nostri dati in caso di accesso fraudolento? Quanto è facile arrivare ai megaserver e alle «banche», quelle della pubblica amministrazione, tra le altre, che li custodiscono? E chi ci deve proteggere?
Per provare a rispondere è importante prima fare un’analisi dello stato dell’arte. In Italia, per le soluzioni relative alle smart city, nel 2018 sono stati spesi 395 milioni di euro, ci dice l’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano. Il tasso di crescita (+24%) è buono, con applicazioni consolidate come la sicurezza, il trasporto pubblico, l’illuminazione e nuovi progetti di raccolta rifiuti, gestione dei parcheggi e monitoraggio dei parametri ambientali. L’Osservatorio ha condotto un sondaggio su 112 comuni italiani con più di 15mila abitanti, da cui emerge che oltre un comune italiano su tre (il 36%) ha avviato almeno un progetto di smart city negli ultimi tre anni (2016-2018), c’è però un calo (- 15%) rispetto al triennio 2014-2016. Inoltre, l’80% dei progetti pare fermarsi alla fase di sperimentazione. Da un’ulteriore analisi, emerge anche che il livello di maturità dei comuni è giudicato ancora insufficiente nel 97% dei casi, con un divario molto ampio rispetto alla maturità degli operatori dell’offerta (sufficiente nel 47% dei casi).
La rincorsa
Spiega Donatella Sciuto, prorettore vicario del Politecnico e ordinario di Architettura dei calcolatori e sistemi operativi: «Al di là delle tecnologie impiegate, si può dire che una città diventi davvero “intelligente” quando riesce a far fronte alle richieste, da parte dei cittadini, di infrastrutture e servizi per una migliore qualità della vita». Quando cioè si allinea all’obiettivo numero undici di sviluppo sostenibile che l’Onu ha individuato per il 2030. Un target che prevede che le città — che oggi occupano meno del 3% di superficie terrestre ma utilizzano il 75% delle risorse naturali e sono responsabili del 70% delle emissioni di gas serra — diventino luoghi inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili. «Dietro lo sviluppo di un tale modello deve esserci una volontà politica, una strategia a lungo termine e che preveda la collaborazione tra pubblico e privato — incalza Sciuto —. È una questione di priorità. Se la tecnologia è lo strumento, bisogna poi capire come utilizzare i dati generati da fonti diverse per prendere le decisioni migliori e rendere così le aree urbane più vivibili. E certamente anche più sicure, cercando di superare la dicotomia, che c’è sempre stata, tra privacy e sicurezza».
Molto si gioca anche sul terreno della digitalizzazione della pubblica amministrazione, che in Italia vive di alti e bassi: l’anagrafe nazionale 2.0, per esempio, è senza dubbio in uno stato più avanzato al nord dello Stivale. «Si aggiunga anche un tema di educazione del cittadino — analizza Sciuto —. In una città come Milano solo di recente si è raggiunto il 59% di certificati scaricati online, ma c’è ancora un 40% di persone che non sanno come accedere al fascicolo digitale del cittadino o, se anche lo sanno, non lo fanno. È un problema di inclusione che non può più essere accantonato».
Prototipi
Al Politecnico intanto si studiano soluzioni intelligenti che sfruttano, ad esempio, proprio il 5G. Come alcuni prototipi di oggetti nati dalla collaborazione di vari dipartimenti, tra cui quello di Elettronica, informazione e bioingegneria, quello di Design e il Politactory: tra questi c’è anche lo smart bin, già istallato nelle sedi di piazza Leonardo e Bovisa. «È stato poi sviluppato uno smart gate multi sensore in grado di effettuare analisi dei flussi di persone e di produrre dati», spiega la docente.
A settembre partirà invece il primo corso di laura magistrale in Mobility engineering: ha tredici aziende partner, da Ansaldo a Hitachi, da FS a FNM, ad Atm. «L’argomento smart city richiede competenze ampie, bisogna non solo acquisirle, ma anche saperle applicare in un dominio diverso da quello in cui sono state apprese — conclude Sciuto —. Per esempio, chi oggi si occupa di mobilità deve anche avere chiari i fondamenti di pianificazione urbana. Per questo noi formiamo ingegneri che sappiano progettare sistemi complessi che possano infine essere applicati e utilizzati con semplicità».

Così i sensori aiutano ad arginare le piene

Si chiama Safer Milan ed è il progetto di sperimentazione siglato da Cisco e Comune di Milano con l’obiettivo di rendere la città più smart e sicura grazie a nuove tecnologie e progetti per favorire l’innovazione e attività di formazione. «L’iniziativa — spiega Fabio Florio, business development manager di Cisco — fa parte di Digitaliani, piano triennale di investimenti da 100 milioni di dollari lanciato da Cisco in Italia già a gennaio del 2016 per accelerare la digitalizzazione nel Paese».
Safer Milan punta a unire la sicurezza fisica a quella informatica, ormai connesse a doppio filo: «Si tratta di due mondi convergenti: se raccogliamo dati per la sicurezza del cittadino e non li proteggiamo a livello informatico, l’impianto cade». Safer Milan prevede una piattaforma unica, sviluppata da Cisco, che raccolga e integri dati provenienti da videosorveglianza, monitoraggio traffico, sensoristica: «Consentirà di prevenire o intervenire velocemente — prosegue Florio —: se per esempio i sottopassaggi stradali si allagano per un’esondazione del Seveso, potremo metterli in sicurezza chiudendoli immediatamente con delle sbarre automatiche appena il dato viene rilevato dai sensori».
La sicurezza cyber è invece importante perché, se le reti dell’internet of things portano grande valore aggiunto per l’impianto della città, allo stesso tempo espongono a nuove possibilità di attacco: «Se si riescono a mettere queste reti sotto protezione salvaguardiamo anche la sicurezza fisica — conclude il manager —. Importante è provarle insieme per sperimentare i processi. I comuni hanno bisogno di fare esperienze e capire l’impatto di processo e risorse, e gli skill che devono adottare». Per questo Cisco a propone anche ai dipendenti del Comune di Milano dei corsi, all’interno della sua network academy, per far crescere le competenze informatiche di chi già lavora all’interno dell’amministrazione, in area It ma non solo.
Giulia Cimpanelli

Dal caldo al freddo: la rete ora risparmia

Fra qualche anno, lungo la cerchia dei bastioni di Milano, potremo togliere le mani dal volante. Un ring dedicato alla guida autonoma: ci sta lavorando A2A ed è forse il progetto più avveniristico della ex municipalizzata lombarda. Che, nel frattempo, sta lavorando anche sull’hinterland milanese, a Brescia e a Bergamo, per implementare la dotazione tecnologica del territorio.
«A Brescia — racconta l’amministratore delegato Valerio Camerano — per noi la sfida è la riqualificazione dell’ex quartiere operaio di via Milano dove in maniera diffusa stiamo installando sensori ambientali, per l’irrigazione e per il parcheggio, illuminazione e cestini intelligenti e servizi informativi per le fermate degli autobus».
A Bergamo, invece, A2A ha creato nove isole digitali nelle quali i cittadini possono usufruire gratuitamente di un accesso internet in wi-fi. «Veri e propri luoghi d’incontro — prosegue l’amministratore delegato — dotati di panchine con punti di ricarica oltre a totem multimediali con contenuti informativi». Altro luogo di sperimentazione è Cascina Merlata, il quartiere di Milano adiacente al sito di Expo 2015: «Qui la dotazione sensoristica copre dalla gestione del ciclo dei rifiuti ai dispositivi di sicurezza come l’antincendio e l’antiallagamento».
Prosegue poi il progetto di dotare Brescia di una rete di teleraffrescamento. «Già sono stati collegati cinque edifici pubblici fra cui due del Comune, Pinacoteca e Museo di Santa Giulia — spiega Camerano —. Si tratta di una tecnologia avveniristica: basandosi sulla rete già esistente per il teleriscaldamento permette di trasformare le calorie prodotte dalla termovalorizzazione dei rifiuti in frigorie». Per esempio, per far funzionare i condizionatori ». E poi, ovviamente, l’arrivo del 5G. «Che per noi — conclude il manager — significa poter portare la velocità e l’assenza di latenze della fibra anche in mobilità. Pensate ad esempio alla videosorveglianza e alla visual recognition mobile in hd».
Massimiliano Del Barba
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