In Cina oltre 120 focolai. Colpiti Vietnam, Cambogia, Mongolia. Abbattuti 3 mln di capi
Dazi e allevamenti decimati gelano i produttori di soia
di Luigi Chiarello
Nuovo focolaio di peste suina africana nella provincia meridionale cinese di Guizhou, nella città di Duyun. A confermarlo è stato il ministero dell’agricoltura e degli affari rurali cinese. Pechino ha denunciato oltre 120 focolai mortali nelle sue province, compresa l’isola di Hainan e la città di Hong Kong, da agosto dello scorso anno. In conseguenza di ciò, il governo cinese sta aumentando le importazioni di carni per far fronte alla minor produzione interna per via dei capi abbattuti: la produzione cinese di maiali quest’anno potrebbe crollare del 30% (stime Rabobank); ad aprile scorso i capi abbattuti avevano superato il milione. La Cina, va ricordato, è il più grande produttore di carne suina al mondo.
Eppure, il ministero dell’agricoltura dell’ex Celeste impero prevede che le importazioni cinesi di carne suina raggiungano nel 2019 quota 1,7 mln di tonnellate (+40% sul 2018), per poi salire a 2,1 mln nel 2020 e iniziare a diminuire dal 2021. Del resto, la peste suina sta colpendo anche altrove, nel Far east: sotto attacco Vietnam, Cambogia e Mongolia. Il governo vietnamita ha annunciato a fine maggio di aver abbattuto 1,7 milioni di maiali, ovvero il 5% della popolazione suinicola dell’intero paese. Tutto ciò rischia di avere pesanti riflessi anche sul versante delle commodity; in particolare, sul mercato della soia, il cui prezzo è crollato di recente, a seguito delle barriere tariffarie sulle importazioni, issate da Pechino nell’ambito dello scontro commerciale tra Usa e Cina. Prima della guerra dei dazi, infatti, il mercato cinese assorbiva un terzo della produzione statunitense di soia; oggi le importazioni sono quasi azzerate, dopo un primo aut aut dettato da Pechino, che nel luglio 2018 aveva determinato una contrazione del 25%. Oggi, nonostante un timido segnale di apertura da parte cinese, culminato nell’acquisto di qualche carico per dimostrare buona volontà nelle trattative al governo Usa, la situazione è ancora al palo. Tanto che, il presidente Usa, Donald Trump, a fine maggio, ha stanziato aiuti per 16 miliardi di dollari in favore degli agricoltori americani colpiti dal blocco delle importazioni cinesi. In questo scenario, una minore domanda di soia nel Far east – sia per quella destinata al consumo umano, a causa della guerra commerciale (1,4 mld di consumatori cinesi circa), sia per il minor fabbisogno di mangimi dovuto alla decimazione dei capi di bestiame – potrebbe gelare ulteriormente i listini. Dal primo marzo ad oggi la commodity ha subito un calo del 4,7% nelle quotazioni, raggiungendo un minimo di 791 dollari Usa a bushel sulla piazza di Chicago, per attestarsi sugli 859 di ieri (la media del periodo è di 869 dollari).
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