In serata il fondo Usa ha formalizzato una nuova proposta alla banca genovese
Intanto il Fitd prepara un piano di intervento alternativo che prevede capitali pubblici e privati L’aumento arriva a sfiorare 800 milioni. Si cerca di coinvolgere nel progetto anche una banca
di Luca Gualtieri
Si stringono i tempi del salvataggio di Carige . Ieri in tarda serata il fondo Apollo ha formalizzato alla banca una nuova proposta (non ancora un’offerta) dopo la bozza preliminare sottoposta la scorsa settimana. Sembra che la nuova proposta sia migliorativa rispetto a quella precedente e possa dunque far rientrare il private equity nella partita. Sempre ieri intanto il Fitd è sceso direttamente in campo per pilotare il salvataggio della cassa genovese con un progetto che sembra alternativo a quello di Apollo.
La road map disegnata dal veicolo presieduto da Salvatore Maccarone è ormai abbastanza definita. Oggi partirà una due diligence sui conti della cassa genovese per quantificare con esattezza il fabbisogno patrimoniale, stimato ormai vicino a 800 milioni. Si tratterà quindi di valutare proposte di intervento che «prevedano la partecipazione degli attuali azionisti e di partner pubblici o privati», come ha spiegato ieri il Fitd in una nota. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, quello che il Fitd ha in mente è una soluzione di sistema incardinata sulle due braccia dell’organo, lo Schema volontario e quello obbligatorio. Il primo sarebbe orientato a convertire in equity il bond subordinato da 312 milioni sottoscritto alla fine dell’anno scorso. Altri 200 milioni potrebbero arrivare dal braccio obbligatorio che, alla luce della favorevole sentenza della Corte Ue sulla vicenda Tercas, avrebbe ora margine per intervenire direttamente. Questo ulteriore esborso non sembra comunque preoccupare il sistema perché il fondo obbligatorio potrà attingere alle risorse già presenti in cassa che dovranno poi essere riversate dalle banche nei prossimi anni.
Al fianco del Fitd dovrebbero muoversi anche alcuni azionisti di Carige , a partire dalla famiglia Malacalza che potrebbe partecipare all’aumento di capitale per una cinquantina di milioni. Per dare attuazione al piano manca però ancora un tassello decisivo: una banca che entri nel capitale di Carige apportando fino a 250 milioni. Al momento un nome definitivo non c’è ancora, ma gli indiziati sono i principali istituti italiani, a partire da quelli che proprio nelle ultime settimane hanno esaminato in via preliminare il dossier. Non sarà invece percorsa, almeno per ora, la strada dell’intervento pubblico. Banche e commissari sono infatti determinati a non ricorrere al piano B messo a disposizione dal governo, cioè la ricapitalizzazione precauzionale sul modello Mps .
Su un’opzione di questo genere pendono infatti molte incognite a partire dal riconoscimento della rilevanza sistemica nazionale di Carige . Un presupposto tutt’altro che scontato visto che la cassa genovese ha un attivo di appena 23 miliardi contro i 153 miliardi che Siena aveva alla fine del 2016. L’istituto potrebbe giocare la carta delle rilevanza su scala regionale, visto che detiene quote di mercato tra il 15 e il 20% in Liguria e Toscana, ma si tratta di capire se Bruxelles accetterà questa interpretazione. In ogni caso si farà il possibile per evitare un bail-in che, nel caso di Carige , potrebbe rivelarsi particolarmente doloroso: a parte il prestito sottoscritto dal Fitd infatti la banca non ha bond subordinati in circolazione dopo l’operazione di liability management lanciata a fine 2017. (riproduzione riservata)
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