In un contesto di crescita economica altamente sincronizzato, in cui le evoluzioni tecnologiche necessitano di un maggiore utilizzo di metalli e della riduzione dell’offerta, da metà 2016 il mercato siderurgico registra una tendenza al rialzo. Non si registrava una ripresa della domanda di questa portata dal periodo post crisi 2008. In aggiunta al deprezzamento del dollaro statunitense, questo fenomeno ha portato a un’impennata dei prezzi dei metalli. Così, a inizio anno, l’alluminio ha registrato un aumento del 37%, i prezzi del cobalto sono quadruplicati, quelli del rame e del nichel hanno subito un incremento rispettivamente del +44% e +53%, quelli dello zinco sono raddoppiati rispetto a inizio 2016.
Malgrado un ritorno della crescita e della redditività nella maggior parte dei segmenti, il settore siderurgico rimane uno dei più a rischio nella valutazione settoriale di Coface, che valuta il rischio credito «elevato». Gli attori più fragili dipendono dalle vendite all’ingrosso e risentono delle relazioni asimmetriche con i grandi clienti di punta.
Tendenze contrastanti nel 2018 e 2019
Il settore siderurgico è per tradizione fortemente influenzato da ingerenze politiche e disordini geopolitici, che causano volatilità e aumento dei prezzi. Le recenti misure protezioniste prese da Stati Uniti (dazi doganali sulle importazioni di acciaio e alluminio) e Unione Europea (dazi antidumping su acciaio e ferro) hanno avuto un impatto debole sui produttori di metalli cinesi che si sono allontanati da questi mercati per riorientarsi verso il mercato interno. I dazi doganali cinesi imposti sui tubi in acciaio, gli aerei e le auto in risposta alle misure americane non dovrebbero influire molto sull’industria automobilistica. Finora, la crescita economica non è diminuita, dal momento che è in discussione meno dell’1% del PIL degli Stati Uniti e della Cina. Resta il fatto che una guerra commerciale avrebbe certamente conseguenze sul rischio di credito delle imprese. Coface stima che nel 2018 l’aumento del protezionismo potrebbe avere ripercussioni sulla volontà di investimento e sulla fiducia delle imprese.
Tutti gli indicatori mostrano che l’economia mondiale ha già raggiunto il suo picco di crescita, che, in teoria, dovrebbe esercitare una pressione al ribasso sui prezzi a partire dal 2019. Nel breve periodo, l’escalation di tensioni dovrebbe continuare a far aumentare i prezzi. I principali metalli di base saranno i grandi vincitori, tenuto conto della ripresa della domanda di batterie e componenti elettronici. Tra dicembre 2017 e dicembre 2019, l’alluminio dovrebbe registrare una crescita limitata pari al 2%, il rame dovrebbe seguire la stessa tendenza, in aumento del 2,4%, e il nichel e lo zinco dovrebbero registrare un incremento rispettivamente del 18% e del 14%. Questa situazione potrebbe costringere gli utilizzatori finali, come i fabbricanti di batterie e i costruttori di auto, a trovare altri materiali in caso di scarsità o aumento dei prezzi.
Al contrario, nello stesso periodo, i prezzi dell’acciaio dovrebbero diminuire del 19%, a causa del peggioramento delle sovraccapacità e della mancanza di disciplina dei produttori cinesi che nei periodi di calo dei prezzi non riescono a raggiungere i livelli stabiliti di capacità produttiva. Questo scenario di base caratterizzato dal crollo dei prezzi dei metalli ferrosi è sostenuto dall’elevato indebitamento generale delle imprese. I ratio di indebitamento non sono particolarmente alti in Cina, dove il settore è dominato dalle grandi imprese pubbliche, e negli Stati Uniti (al 15%), dove le imprese sono molto più esposte a una potenziale corruzione dei flussi di liquidità.
“L’andamento del settore siderurgico mondiale resta uno dei temi più sensibili da monitorare”, sottolinea Ernesto De Martinis, CEO di Coface in Italia e Head of Strategy Mediterraneo & Africa. “La crescita esponenziale di questo mercato negli ultimi due anni, infatti, non resta esente dal tradizionale impatto delle tensioni politiche, alla base della volatilità e dell’aumento dei prezzi. Non secondario, inoltre, anche il possibile aumento delle sovraccapacità produttive, soprattutto degli operatori cinesi, che ci fanno confermare un rischio credito elevato per il comparto”, conclude De Martinis.