La Corte di giustizia europea prende una strada opposta a quella della Cassazione
Effetti finanziari connaturati ad assicurazioni ramo III
di Matteo Massimo D’Argenio
Le polizze assicurative di ramo III possono comportare, per loro espressa e ribadita natura, guadagni o perdite finanziarie al contraente (o ai beneficiari in caso di decesso dell’assicurato).
Lo ribadisce la Corte di giustizia europea con la sentenza 31 maggio 2018, Länsförsäkringar Sak Försäkringsaktiebolag vs. Dödsboet efter Ingvar Mattsson e altri, nella causa C-542/16, che segue di poche settimane quella (n. 10333/2018, si veda ItaliaOggi del 7 maggio scorso) della nostra Corte di cassazione. Lontani appaiono i punti di vista e i principi che esse stabiliscono. È vero che i pronunciamenti si riferiscono a casi decisamente diversi tra loro ed è altrettanto vero che il vaglio di legittimità effettuato dalla Cassazione è diverso da quello di conformità al diritto comunitario effettuato dalla corte di Lussemburgo. Tuttavia, pure a fronte di queste differenze, si riscontra una profonda diversità di approccio. La nostra Corte ha stabilito che spetti al giudice di merito la valutazione se il contratto presenti o meno quella «garanzia di conservazione del capitale alla scadenza» che costituirebbe il discrimen tra polizza assicurativa e prodotto finanziario d’investimento, al fine di individuare la normativa ad esso applicabile. Con ciò, viene pertanto ammessa la possibilità che il giudice territoriale qualifichi il contratto come assicurativo o lo riqualifichi come finanziario in funzione dell’allocazione del rischio.
Da qui una doppia ambiguità che ha subito messo in allarme il settore assicurativo italiano: primo, perché in termini assicurativi il rischio consiste da sempre in un evento attinente la vita dell’assicurato, senza alcuna possibilità (normativa né regolamentare) di estendere o modificare tale concetto riferendolo ad un evento estraneo alla vita umana, quale per esempio la solvibilità in tutto o in parte dell’emittente i fondi sottostanti alla polizza; secondo, perché la vigente (ormai da molti anni) normativa italiana in materia di polizze di ramo III contempla espressamente il fatto che il loro valore sia «collegato» a quello di fondi esterni all’impresa di assicurazioni, con ciò peraltro attuando nel nostro Paese un principio a più riprese stabilito dal diritto comunitario.
Molti interventi hanno tuttavia evidenziato il carattere eccezionale della pronuncia della Cassazione, riaffermando la perfetta validità del quadro normativo civilistico e fiscale che disciplina questo settore del mercato assicurativo. A rassicurare ulteriormente gli operatori italiani del comparto delle polizze assicurative linked sopraggiunge adesso la Corte di giustizia europea la quale, con la sentenza in esame, pur affrontando l’argomento incidenter tantum, afferma con chiarezza che «per rientrare nella nozione di «contratto di assicurazione», di cui all’articolo 2, punto 3, della direttiva 2002/92, un contratto di assicurazione sulla vita di capitalizzazione, come quello di cui ai procedimenti principali, deve prevedere il pagamento di un premio da parte dell’assicurato e, in cambio di tale pagamento, la fornitura di una prestazione da parte dell’assicuratore in caso di decesso dell’assicurato o del verificarsi di un altro evento di cui al contratto in discorso. Nel caso di specie, salvo verifica da parte del giudice del rinvio, risulta che il contratto di cui ai procedimenti principali costituisce un contratto di assicurazione ai sensi della suddetta disposizione, il che inoltre non è contestato dalla Länsförsäkringar. In sostanza, la massima Corte europea, in armonia con la Suprema corte svedese, afferma che il sinallagma assicurativo consiste esclusivamente nel binomio versamento del premio/prestazione in caso di sinistro, senza che in esso possano né debbano entrare valutazioni circa l’allocazione del rischio finanziario relativo ai fondi (direttamente o indirettamente) sottostanti la polizza.
Il concetto viene peraltro ivi ribadito e attualizzato alla più recente legislazione europea attraverso il richiamo alla direttiva 2014/65, che non era in vigore all’epoca dei fatti di cui ai procedimenti principali, che ha modificato la direttiva 2002/92 aggiungendovi un nuovo capo III bis, intitolato «Requisiti supplementari per la tutela dei consumatori in relazione ai prodotti di investimento assicurativi». Tali prodotti sono adesso definiti all’articolo 2 della direttiva 2002/92, in un nuovo punto 13, come prodotti assicurativi che presentano una scadenza o un valore di riscatto e in cui tale scadenza o valore di riscatto è esposto in tutto o in parte, in modo diretto o indiretto, alle fluttuazioni del mercato.
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