Reddito di salute da integrare con quello di cittadinanza. È la proposta di Rbm al governo. Fondi pubblici e sgravi per assicurare i più deboli
di Anna Messia
La proposta è di introdurre un cosiddetto Reddito di salute che potrebbe essere integrato nel reddito di cittadinanza cui sta lavorando l’esecutivo. A lanciarla è Rbm Assicurazione Salute, compagnia assicurativa leader nel mercato dei fondi e delle polizze sanitarie che ha fatto qualche calcolo per capire quanto costerebbe allo Stato incentivare la diffusione di un sistema sanitario integrativo. L’obiettivo è quello di ridurre la spesa che gli italiani sostengono ogni anno per curarsi privatamente o per acquistare farmaci, sostenendo soprattutto chi non riesce a curarsi. Secondo l’ottavo rapporto elaborato dal Censis con Rbm Salute la spesa privata raggiungerà quest’anno i 40 miliardi, contro i 37,3 miliardi dello scorso anno e si tratta di un fenomeno in espansione, visto che è costantemente salita nell’ultimo decennio.
La ricerca indica una spesa media di 616 euro nel 2016, salita nel 2017 a 655 euro ma dimostra pure che l’accesso alle cure private non è per tutti agevole. L’anno scorso 7 milioni di italiani per curarsi hanno dovuto indebitarsi e 2,8 milioni hanno dovuto usare il ricavato della vendita di una casa o svincolare i risparmi, mentre 12 milioni di italiani hanno rinunciato alle cure, prevalentemente (circa il 40%) odontoiatriche. Numeri che fanno il paio con l’allarme lanciato da Istat qualche giorno fa, quando ha fatto sapere che in Italia ci sono oltre 5 milioni di poveri. «Appare chiaro che nel Paese c’è un’emergenza sociale in campo sanitario che richiede misure strutturali come il reddito di salute appunto», dice Marco Vecchietti, amministratore delegato di Rbm Assicurazione Salute, «Uno strumento che sarebbe in grado di supportare l’avvio di un secondo pilastro sanitario e consentirebbe agli italiani di risparmiare».
Secondo i calcoli della compagnia l’accesso alle cure private mediante una polizza sanitaria o un fondo integrativo invece che pagando singolarmente di tasca propria garantirebbe al cittadino un risparmio medio di quasi 245 euro l’anno. Ma bisogna trovare il modo di finanziarie i costi ed incentivare le adesioni, specie nelle fasce di popolazioni che hanno maggiori difficoltà economiche. L’idea di Vecchietti, che ha già aperto un dialogo con esponenti dell’esecutivo, è quella di prevedere benefici fiscali per tutti i cittadini non assicurati oltre che di assegnare una sorta di voucher, specie ai più deboli, per arrivare a sostenere circa la metà dei costi necessari a sottoscrivere una forma sanitaria integrativa. Secondo i calcoli di Rbm per garantire coperture sanitarie che arrivino a includere il perimetro delle spese sanitarie private, servirebbe sottoscrivere un premio medio di circa 450 euro.
Le persone che oggi non hanno una copertura sanitaria in Italia sono circa 40 milioni e per rendere possibili i voucher per tutti bisognerebbe prima di tutto fare ricorso ai fondi europei per il Sud, recuperando una cifra compresa tra 7 e 10 miliardi. Fondi che potrebbero finanziare soprattutto i cittadini più penalizzati, ovvero quelli con un reddito più basso ma anche chi abita in zone dove i sistemi sanitari regionali non funzionano adeguatamente. In questo modo la spesa media individuale per la polizza o il fondo potrebbe ridursi da 450 euro a 325 euro. Ma questo non sarebbe l’unico bacino finanziario dal quale attingere. Secondo Vecchietti si potrebbero recuperare altri 125 euro pro capite utilizzando le detrazioni che oggi lo Stato riconosce a chi effettua una spesa sanitaria privata e che genera «effetti decisamente negativi specie dal punto di vista sociale».
I dati dicono che solo il 20% delle detrazioni riguarda il Sud e le Isole e le detrazioni per spese sanitarie sono più rare per chi dichiara redditi più bassi, visto che l’80% va a beneficio di cittadini con redditi superiori a 60 mila euro, ma se si va più a fondo nell’analisi si scopre che la metà di coloro che ottengo le detrazioni guadagna oltre 100 mila euro. Si tratta di un totale annuo di 3,4 miliardi di gettito fiscale a cui lo Stato rinuncia ogni anno e «se l’obiettivo è quello di sostenere il reddito dei cittadini di fronte all’incidenza delle cure private queste risorse potrebbero essere impiegate più efficacemente, garantendo la diffusione a chi ancora non beneficia di una polizza o di un fondo sanitario», dice Vecchietti.
Utilizzando questi fondi, al cittadino resterebbe, tra voucher e benefici fiscali, una spesa media residuale effettiva di circa 150 euro rispetto ai 450 euro totali della polizza, in pratica poco più di 40 centesimi al giorno. Mentre lo Stato, tra fondi europei e recupero dei 3,4 miliardi di detrazioni per l’operazione Reddito di Salute, avrebbe bisogno di altri 1,5 miliardi per coprire la manovra. Non certo pochi di questi tempi ma la spesa «garantirebbe finalmente agli italiani, specie quelli più fragili, di avere le cure mediche di cui necessitano, riducendo soprattutto le disuguaglianze sociali», conclude il ceo di Rbm. (riproduzione riservata)

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