In Italia circolano ancora banconote e monete per un valore di 198 miliardi, ma l’avanzata dei pagamenti digitali pare inarrestabile. È davvero possibile fare a meno di monete e banconote? Fra rischi e opportunità, anche l’Italia si prepara a trasformarsi in una vera cashless society
di Francesco Bertolino
Money, money, money cantavano negli anni ’70 gli Abba. Ma oggi in Svezia, patria del gruppo, il contante è a rischio estinzione: banconote e monete danno corso ormai a meno del 20% dei pagamenti e incidono sul pil per l’1,5%. Il Paese scandinavo si avvia così ad essere la prima cashless society al mondo, inseguito da Regno Unito e Paesi Bassi dove le transazioni con mezzi alternativi alla moneta fiat sono, rispettivamente, il 60 e il 55% (fonte: Cashless Revolution 2018, The European House – Ambrosetti). E in Italia è possibile una vita senza contanti? «È quello che ci aspetta», ha detto Paolo Panerai, ad e vicepresidente di Class Editori , (che pubblica Milano Finanza) in apertura della terza Milano Finanza Digital Experience Week intitolata appunto Una vita senza contanti. «In questo momento è quasi un cambiamento di religione abituarsi a monete che non si vedono, ma questa è la realtà, grazie alla facilità con cui si può fare qualsiasi tipo di pagamento». In effetti, la percentuale di transazioni in contanti in Italia (86%) sopravanza quella di persone che si dichiarano cattoliche (74%). E l’attaccamento al feticcio della banconota è un’abitudine culturale dura a morire. L’Italia, infatti, è il terzultimo Stato in Europa per pagamenti cashless (14%) davanti solo a Spagna (13%) e Grecia (12%). Negli ultimi dieci anni, banconote e monete in circolazione sono aumentate costantemente, arrivando a quota 198 miliardi di euro nel 2017 (l’11,6% in rapporto al Pil). Ma l’innovazione nei pagamenti sta arrivando, e rapidamente, anche a sud delle Alpi. Dal 2008 al 2016 il numero di transazioni con carta di credito è aumentato dell’85%, per un valore di 178 miliardi. A guidare la riscossa della moneta elettronica sono soprattutto le nuove tecnologie. I pagamenti contactless (conclusi avvicinando la carta al Pos) sono cresciuti del 150% in un anno, raggiungendo i 400 milioni per un giro d’affari di 18 miliardi. Raddoppiato anche il valore dei mobile payments, passato tra il 2016 e il 2017 da 3,9 a 6,7 miliardi. Comincia così a essere superato il paradosso di un’Italia terzo Paese al mondo per numero di smartphone ma agli ultimi posti in Europa per il loro utilizzo a fini finanziari. Paradosso che ha colpito anche tre ragazzi di Cuneo, e che su questa curiosità hanno costruito Satispay, piattaforma per i pagamenti da cellulare con 320mila utenti attivi e 38mila esercenti convenzionati. «L’Italia è tra i Paesi a più alta penetrazione di smartphone, dove si amano le carte prepagate, e al tempo stesso dove la percentuale di pagamenti in contanti è ancora elevata», ha spiegato Stefano Schiavio, responsabile delle partnership finanziarie per Satispay.
Insomma, anche in Italia il contante sembra aver imboccato il viale del tramonto. «L’Italia parte indietro rispetto agli altri Paesi, questo le dà una grande opportunità di recupero», afferma Paolo Bertoluzzo, ad del gruppo Nexi, nel corso della tavola rotonda inaugurale della Digital Experience Week. «Sarà un percorso lento, ma non ci sono molti dubbi sul fatto che, prima o poi, tutti i pagamenti saranno digitali. Non mi chiedo se, ma quando». Aspettative condivise anche da Nicolò Romani, capo dell’innovazione in Sia, che ha sottolineato quanto la pubblica amministrazione possa accelerare questa transizione attraverso il progetto PagoPa. «I pagamenti digitali della pubblica amministrazione aumentano in modo esponenziale. Nel primo trimestre 2018 abbiamo registrato lo stesso numero di transazioni dello scorso anno». I dati dell’Abi, elencati dal vicedirettore Gianfranco Torriero, confortano queste speranze: in un decennio i clienti che utilizzano i canali digitali delle banche sono cresciuti fino ad arrivare al 95% del totale.
È presto per dire quale tecnologia sostituirà il contante come principale mezzo di pagamento, se le app, le rodate carte di credito o il sorriso, come sperimentato in una catena di fast-food cinese da Alipay, piattaforma di e-payment lanciata nel 2004 da Alibaba. Cina che, come sottolineato da Panerai, è il «punto di riferimento» nel settore. Per saldare il conto, infatti, oltre 695 milioni di cinesi preferiscono tirare fuori dalla tasca non il portafoglio, ma il cellulare, un numero superiore alla somma di Unione europea (343) e Stati Uniti (262). Il fatto che siano all’avanguardia Paesi come Cina e Kenya (dove M-Pesa permette a 18 milioni di persone di trasferire denaro con un sms) non è casuale. Si tratta di Stati, una volta in via di sviluppo, dove banche e bancomat sono poco diffusi e dove quindi i mobile payment hanno occupato uno spazio vuoto. Ed è proprio la finanza tradizionale a rischiare di essere travolta dall’onda fintech, se non riuscirà a cavalcarla. La partita dei pagamenti digitali si giocherà «sul salto dell’innovazione, oggi molto superiore rispetto a qualche anno fa», ha avvertito Pietro Sella, ad e dg di Banca Sella, intervenendo alla Digital Experience Week. «È certo che ci saranno nuovi attori, sono addirittura necessari», ha aggiunto, «per una banca tradizionale rimarrà chiaramente un ruolo, purché sappia scegliere un modello di business in grado di allacciarsi, tramite i modelli di open banking, a questi sistemi. I margini scenderanno un po’ ma potranno essere più che compensati dalle nuove opportunità di seguire la clientela». I dati, del resto, sono il petrolio del XXI secolo e le nuove tecnologie di pagamento permettono a banche e società fintech (e perché no, anche ai commercianti) di estrarne in grande quantità. La sfida ora è affinarli per offrire ai clienti i prodotti più adatti alle loro esigenze. Un compito non semplice considerato che, come ricordato da Panerai, la mole di big data «nel 2017 è stata due volte superiore ai dati prodotti dall’umanità nella sua intera storia e quest’anno, secondo le previsioni, raddoppierà». L’addio al contante, poi, gioverebbe alle casse dello Stato. Bankitalia stima che la gestione del contante costi ogni anno fra gli 8 e i 10 miliardi di euro. Inoltre i pagamenti digitali, si tratti di carta di credito o cellulare (meno con criptovalute come bitcoin), sono per loro natura tracciabili a differenza dell’anonimo contante. Una caratteristica che agevolerebbe la lotta all’evasione e all’elusione fiscale, oltre che alla criminalità organizzata. Non è un caso che il bando alla banconota da 500 euro sia stato deciso nel 2016 dalla Bce su impulso del governo francese. L’allora ministro dell’economia Michel Sapin si era detto sicuro che tagli così grossi servissero più «a nascondere che ad acquistare» e potessero aver agevolato il finanziamento del terrorismo islamico.
Anche la moneta elettronica della cashless society, però, ha il suo rovescio. Bisogna, anzitutto, evitare che nella continua rincorsa alla next big thing si dimentichino i fondamentali. «Attenzione agli innamoramenti già vissuti in passato con l’innovazione», ha avvisato Giuseppe Sopranzetti, direttore della sede milanese di Bankitalia che ha ospitato la giornata inaugurale della Digital Experience Week. «È fondamentale tornare a Einaudi,e al suo conoscere per decidere». In effetti, uno studio del Mit (The Pain of Paying) ha dimostrato che spendere il contante causa nei consumatori una sporta di sofferenza fisica, non percepito utilizzando il denaro digitale. Ciò potrebbe favorire comportamenti imprudenti. In un esperimento del 1986, per esempio, l’economista Richard Feinberg osservò che i partecipanti erano disposti a spendere il triplo per un prodotto, pagando con carta di credito. La ricerca potrebbe contribuire a spiegare la correlazione (segnalata dal Financial Times) esistente fra livello di pagamenti digitali e debiti legati al consumo. A un estremo della scala si collocano, alcuni fra gli Stati ad alta intensità di e-payment come Corea del Sud, Svezia e Danimarca. In fondo alla classifica, invece, si trovano Paesi affezionati al contante come Italia, Germania e Spagna.
Nella transizione, inoltre, occorre tener conto dei pericoli infrastrutturali. «La vita senza contanti non eliminerà tutti i rischi che oggi banconote e monete comportano in termini di falsificazione e pagamenti in nero», ha concluso Panerai, «i malfunzionamenti continueranno a esistere anche su questo fronte». Ne sia prova quanto accaduto sette giorni fa al circuito Visa, bloccato per ore da un blackout che ha reso inutilizzabili le carte di credito di milioni di persone. Al di là di possibili guasti, ciò che più preoccupa i governi è l’eventualità di attacchi informatici su larga scala contro i sistemi di pagamento. In gioco ci sono, anzitutto, i dati conservati dagli operatori finanziari: nel 2014, per esempio, alcuni hacker riuscirono a sottrarre a JpMorgan informazioni sensibili su 83 milioni di clienti. Il pericolo, però, nell’epoca della guerra cibernetica riguarda soprattutto la sicurezza nazionale con la possibilità che uno Stato nemico metta fuori uso tutte le infrastrutture di pagamento elettroniche. Per questo motivo, il governo americano incoraggia i cittadini di tenere sempre con sé del contante in caso di emergenza. (riproduzione riservata)
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