di Marcello Bussi
Ma quale tapering, semmai estendiamo il Qe e se necessario siamo pure pronti ad aumentare gli acquisti di bond. Questo il messaggio lanciato ieri da Mario Draghi nel corso della conferenza stampa seguita al Consiglio direttivo della Bce tenutosi a Tallinn, in Estonia. Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, è stato così messo a tacere. Lui vorrebbe che il Qe finisse nel gennaio 2018 o che almeno cominciasse il tapering, ovvero la riduzione degli ac0quisti di bond, che ieri sono stati confermati al ritmo di 60 miliardi di euro al mese.
Draghi gli ha risposto con i numeri dei tecnici della Bce, che hanno rivisto al ribasso le stime sull’inflazione, come del resto era stato anticipato da una fuga di notizie alla vigilia del Direttivo: quest’anno l’indice dei prezzi al consumo si attesterà all’1,5% invece dell’1,7%, nel 2018 sarà solo dell’1,3% invece dell’1,6%, nel 2019 dell’1,6% invece dell’1,7%. Poiché l’obiettivo della Bce è quello di avere un’inflazione di poco inferiore al 2%, l’1,3% dell’anno prossimo toglie ogni velleità a Weidmann: è impensabile finire il Qe e molto difficile cominciare il tapering, anche perché il target non sarà raggiunto nemmeno l’anno successivo.
Come se non bastasse, Draghi ha detto che se la situazione peggiorasse il Qe potrebbe essere non solo prolungato ma anche aumentato. D’altronde non si vede da dove possa arrivare l’inflazione: i prezzi del petrolio sono in ribasso anche in questi momenti di estrema tensione in Medio Oriente dopo lo scoppio del bubbone Qatar. Men che meno le temute pressioni possono arrivare dai salari. È vero che nell’Eurozona sono stati creati molti posti di lavoro, ma la stragrande maggioranza, ha ammesso Draghi, sono di pessima qualità, corrispondono salari bassissimi.
Certo, il presidente della Bce ha voluto dare un contentino ai falchi, togliendo dal comunicato finale del Consiglio direttivo il riferimento alla possibilità di tassi più bassi in futuro, grazie alla scomparsa del rischio deflazione. Ma con i tassi d’interesse a zero davvero nessuno si aspetta che possano diventare negativi. Anche perché le stime di crescita dell’economia dell’area sono state riviste al rialzo. Attenzione, però, il rialzo è irrisorio, si tratta di appena lo 0,1% per tutti gli anni presi in considerazione: il pil salirà dell’1,9% nel 2017, dell’1,8% nel 2018 e dell’1,7% nel 2019. A guardar bene, la crescita è destinata a rallentare, sia pure di poco.
Altro motivo per escludere un rialzo dei tassi. Ci sono insomma tutte le premesse per prolungare il Qe fino alla scadenza del mandato di Draghi, il 31 ottobre 2019. Una cosa è certa: le elezioni italiane si terranno con i Btp sotto la protezione della Bce. Ieri la prospettiva del voto anticipato a settembre o a ottobre è sembrata dissolversi (anche per questo motivo Piazza Affari ha chiuso in rialzo dell’1,5%), ma dopo le parole del presidente della Bce è chiaro che anche in caso di elezioni alla scadenza naturale della legislatura, a marzo dell’anno prossimo, il Qe sarà ancora in corso. Gli italiani potranno così andare alle urne senza che sulle loro teste incomba la spada di Damocle dello spread a 500 punti base (ieri è sceso a 191 dai 210 della vigilia).
«Non abbiamo votato, ma non ho sentito voci dissenzienti». Così Draghi ha risposto a chi gli chiedeva se il direttivo Bce avesse approvato all’unanimità le misure adottate, sottolineando che «non abbiamo discusso» della strategia di uscita dall’accomodamento monetario. Weidmann è stato zitto, quindi. Ma è facile prevedere che nelle sue prossime uscite continuerà a riservare punture di spillo a Draghi. Sembra però che in questo periodo il capo della Bundesbank non goda di un grande seguito all’interno del direttivo della Bce.
Gli economisti di Barclays hanno sottolineato che Draghi «ha enfatizzato il fatto che l’Istituto centrale avrà bisogno di essere paziente e di avere fiducia sul recupero» dell’economia. Pertanto «l’exit strategy della Bce sarà molto graduale». Per Barclays, quindi, il Qe proseguirà per tutto il 2018 anche se a un livello di acquisti mensili inferiore rispetto a quello del 2017. «Con il tasso d’inflazione nominale che sta invertendo la rotta e l’inflazione core ancora modesta, la Bce non ha fretta di modificare la propria posizione accomodante», ha confermato anche Timothy Graf, responsabile della strategia macro di State Street Global Markets, puntualizzando che «gli annunci di Draghi soddisfano in gran parte le aspettative, quindi la recente forza dell’euro riuscirà probabilmente a essere mantenuta» (ieri l’euro ha perso lo 0,4% a 1,1206).
«La Bce sta compiendo dei piccoli passi verso la riduzione dello stimolo all’economia della zona euro, omettendo dalla forward guidance i riferimenti a un eventuale ulteriore taglio ai tassi d’interesse», ha osservato Charlie Diebel di Aviva Investors, aggiungendo che «tuttavia, questa è solo la prima fase di un processo molto lungo di interruzione o rallentamento del programma di Qe ed eventualmente di rialzo del costo del denaro». L’esperto si aspetta che l’Istituto aumenti i tassi d’interesse solo alla fine del 2018, se non più tardi per via delle persistenti preoccupazioni riguardo all’inflazione core. Inflazione che, vale la pena ribadire, non si vede ancora all’orizzonte. (riproduzione riservata)
Fonte: