di Anna Messia

Non solo per gli studenti. Giugno è tempo di esami anche per le assicurazioni che nei giorni scorsi hanno pubblicato la loro prima relazione sulla solvibilità. Una novità assoluta per il settore (e anche per il regolatore) che è la conseguenza diretta della nuove regole europee Solvency II entrate in vigore a gennaio dell’anno scorso che hanno stravolto i vecchi schemi. Il nuovo approccio è risk based e mette al centro dell’attenzione del supervisore e del mercato la quantità e la qualità di rischio che ogni impresa si assume con le sue decisioni di impegno verso gli assicurati e anche con le scelte sugli investimenti. Tutto cambiato rispetto a Solvency I, che veniva calcolato semplicemente come una percentuale delle riserve matematiche vita e nel danni come percentuale dei premi annui o dell’onere dei sinistri. Facile, ma non in grado di intercettare gli effettivi rischi di un’impresa in un mondo in continuo cambiamento, hanno sostenuto da Bruxelles. Così, dopo un iter durato più di un decennio, a gennaio 2016, è stato lanciato appunto Solvency II. Un sistema ben più articolato (in qualche caso definito sofisticato e complicato dagli stessi regolatori) che ora, dopo più di un anno dall’avvio, è finalmente arrivato al primo banco di prova, con la pubblicazione dei report dai quali dovrebbe emergere quali sono gli effettivi rischi dell’impresa.
Dall’analisi dei documenti delle principali società assicurative quotate a Piazza Affari, che MF-MilanoFinanza ha esaminato, in effetti emerge una fotografia dettagliata, che va oltre la pubblicazione dell’indice di Solvency II che per tutte le imprese in questione appare ben superiore al minimo richiesto dal regolatore. In Generali , che a fine 2016 aveva un rapporto tra fondi propri ammissibili e solvency capital requirment (scr), quindi un Solvency II ratio del 238% (ovvero 2,38 volte il minimo regolamentare), emerge per esempio che i principali rischi della compagnia (che compongono il scr) derivano ovviamente (per il 94%) dai rischi finanziari legati al rischio azionario delle partecipate. Mentre il rischio di credito incide solo per il 3,4%.
Un assetto che risulta di conseguenza diverso da quello di Vittoria Assicurazioni o da quello di Cattolica. Nella prima compagnia, che ha un solvency II ratio del 218,6%, quindi 2,18 volte il minimo, il rischio maggiore è considerato quello «di sottoscrizione non Vita». Si tratta dei rischi legati a una non corretta tariffazione delle polizze Danni, che per Vittoria hanno un peso sul scr di oltre il 71%, più di quelli di mercato (58%). Per Cattolica, che ha un Solvency II del 2,09%, il rischio maggiore resta quello di mercato (46%) ma nel suo calcolo ha incluso anche un altro rischio non considerato dalle altre: quello operativo, al quale viene dato un peso non trascurabile, pari al 10%.
L’effetto dell’analisi dei rischi è quindi quello di scattare una fotografia dell’impresa, per far sapere al mercato quali sono i maggiori pericoli che corre. L’obiettivo dei report non è però solo quello di censire i rischi ma anche di sottoporli a una sorta di stress test, con un’analisi che tecnicamente è stata definita di sensitività alla variazione di alcuni valori. Come la discesa del prezzo delle azioni, per esempio, o la ripresa degli spread sui titoli di Stato. Il confronto tra le varie imprese, in verità, non è facile, perché come ha ricordato di recente il presidente dell’Ivass e direttore generale di Banca d’Italia, Salvatore Rossi, in questo nuovo sistema «è la compagnia stessa a effettuare un’autovalutazione dei rischi, basata su metodi che vengono però controllati o anche validati dall’autorità di vigilanza nazionale».

Anche i parametri che sono stati usati dalle imprese nei report appena pubblicati per valutare la sensitività a variazioni degli scenari di mercato sono molto diversi tra loro. Ma si tratta comunque di informazioni interessanti. Unipol Assicurazioni calcola per esempio che un aumento di 50 punti base della curva dei tassi d’interesse farebbe calare il suo solvency ratio di 10 punti base mentre una discesa del 15% del valore del mercato immobiliare lo farebbe scendere di meno, ovvero 8 punti base. Per Cattolica, invece, un calo del 25% dei valori azionari e immobiliari farebbe scendere il Solvency di 19 punti percentuali; stesso effetto (-19 punti base) avrebbe sulla compagnia di Verona anche una variazione al rialzo di 50 punti base dei spread di credito dei titoli governativi e corporate. Nel caso di Generali la compagnia ha invece preferito comunicare che un aumento degli spread di 100 punti base o shock azionari del 20% provocherebbero variazioni solo del 2%. (riproduzione riservata)
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