di Marino Longoni
La prossima legislatura metterà in cantiere l’ennesima riforma della previdenza? Difficile dirlo. Certo, mettendo in fila una serie di dati oggettivi ciò sembra molto probabile. Partiamo dalle Considerazioni finali del governatore Ignazio Visco, che mercoledì 31 maggio ha auspicato un saldo primario del 4% del pil, 68 miliardi l’anno, in grado di riportare il debito pubblico alla pari con il pil nei prossimi 10 anni. Trovare 68 miliardi l’anno non è facile, visto che il governo trascina di anno in anno, senza disinnescarle, le clausole di salvaguardia Iva che valgono 15 miliardi. Per revisioni della spesa pubblica così profonde difficilmente si può evitare di toccare la previdenza che, nonostante la riforma Fornero, presenta un tasso di copertura del 76,4% e un deficit di 55 miliardi l’anno (differenza tra entrate contributive e uscite per prestazioni).
La voragine supera il 3% del pil, e ogni anno va coperta con entrate fiscali o nuovo debito. La riforma Fornero aveva l’obiettivo di tamponare l’emorragia, ma i risultati sono stati modesti. La leva principale utilizzata dalla riforma, l’aumento dei requisiti necessari per la pensione di anzianità, ha prodotto effetti soprattutto nel Centronord dove le pensioni di anzianità sono il 31% delle prestazioni totali. Al Sud gli effetti sono stati modesti, e qui le pensioni di anzianità sono solo il 16% del totale. Una delle conseguenze di tale approccio è il consolidamento di un tasso di copertura molto differenziato tra le varie regioni. A parte il Trentino Alto Adige, unica regione dove è positiva la differenza tra entrate e uscite, i due estremi sono la Lombardia, dove le entrate coprono il 97% delle uscite, e la Calabria, dove arrivano al 36%.
Se ai contributi si aggiungono quelli di Irpef e Irap, dal lato delle entrate, e dal lato delle uscite sommiamo alle pensioni il costo del servizio sanitario nazionale e il welfare degli enti locali, si ottiene un residuo fiscale altrettanto sperequato, dove il Nord è in attivo di 27,2 miliardi, il centro di 3,8 miliardi mentre il Sud è in passivo di ben 36,4 miliardi. In pratica ogni cittadino della regione Lombardia paga ogni anno, in tasse e contributi 5.788 euro in più di quello che riceve in servizi e pensioni, mentre in Calabria ogni cittadino riceve 4.455 euro in più di quello che paga. Una sperequazione che non può reggere a lungo: in una situazione economica difficile, una crescita stentata anche per i prossimi anni, l’avvicinarsi della fine dei tassi a zero da Quantitative easing, la necessità di stringere i freni per ricondurre il debito pubblico entro percentuali più ragionevoli, e nell’impossibilità di alzare ancora la pressione fiscale, il Nord non sarà più in grado di finanziare la previdenza del Sud. (riproduzione riservata)
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