di Luisa Leone
Aprire agli investimenti conformi alla Sharia. A questo punta la proposta di legge appena assegnata alla commissione Finanza della Camera e relativa al trattamento fiscale delle operazioni di finanza islamica. Il testo si sofferma sulle questioni legate alla fiscalità perché solo un adeguamento della legislazione italiana sotto questo profilo potrà realmente aprire un mercato per questi prodotti, che altrimenti sarebbero penalizzati da una duplicazione delle imposte derivante dalla complessa struttura necessaria a garantirne la conformità ai principi della Sharia. Nella sostanza si tratta di cercare di intercettare flussi importanti, pari al 2% dei beni finanziari internazionali e che nel 2018, secondo uno studio di Standard & Poor’s, toccheranno quota 3 mila miliardi di dollari. Per rimanere all’Italia, la Banca Centrale Europea stima che il risparmio dei fedeli musulmani nel Paese sfiori i 6 miliardi di dollari. Permettere la commercializzazione di strumenti di finanza islamica dovrebbe quindi garantire anche nuovi introiti per le casse dello Stato. In particolare, la proposta di legge norma il trattamento fiscale sia dei contratti di scambio (Murabaha, Ijarah e Ijarah wa iqtina e Istisna’a) sia dei Sukuk, ossia i titoli di debito pensati per gli investitori musulmani.
Nel primo caso si prevede che il margine corrisposto alla banca nell’ambito dei contratti Sharia compliant venga tassato al 24% come reddito da impresa e che sia deducibile ai sensi dell’articolo 96 del Tuir. Non si prevede invece, come per tutte le operazioni bancarie, il pagamento dell’Iva. Mentre sarebbero nulle tutte le imposte (registro, bollo, ipotecarie catastali eccetera) connesse ai contratti di scambio, a cui si applicherebbe invece un’imposta sostitutiva dello 0,25%, come sulle normali operazioni bancarie.
Più in generale, il principio di base è che viene eliminata qualsiasi forma di doppia imposizione, grazie all’applicazione di un principio di tassazione che vede prevalere la sostanza sulla forma. Per quanto riguarda i Sukuk, che sono in buona sostanza titoli di debito emessi con lo schema di una cartolarizzazione, la legge prevede che la remunerazione degli investitori sia tassata al 26%. Infine si stabilisce un costante e rafforzato monitoraggio delle operazioni ai fini antiriciclaggio e antiterrorismo.
«Questa proposta di legge rappresenta senza ombra di dubbio un’iniziativa che tende a proiettare l’Italia tra i Paesi finanziari più evoluti e in grado di attirare anche investitori ed investimenti ispirati a principi culturali diversi ma efficienti». dice a MF-Milano Finanza Stefano Loconte, coordinatore del gruppo degli esperti nominati dal presidente della commissione Finanze Maurizio Bernardo per la redazione del testo sulla fiscalità della finanza islamica. Di certo alcuni Stati europei (Regno Unito, Francia, Irlanda e Lussemburgo) si sono già attrezzati per permettere operazioni Sharia compliant. «L’auspicio è che possa trovare un favorevole percorso in Parlamento ed essere approvato in tempi rapidi», conclude Loconte.
Per quanto riguarda la calendarizzazione del provvedimento, Bernardo, che è primo firmatario della proposta di legge, spiega che, smarcate le priorità già assegnate ai deputati della commissione Finanze, ora alle prese con il decreto sulle banche venete (la cui discussione è iniziata ieri per approdare in Aula il 10 luglio), il provvedimento non dovrebbe tardare. Verosimilmente le discussioni potrebbero iniziare quindi alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva. (riproduzione riserva
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