I disavanzi del sistema previdenziale accumulati nel tempo affossano il debito pubblico. Se da un lato, infatti, dal 1980 al 2015 il bilancio previdenziale non ha mostrato cambiamenti sostanziali nella distribuzione regionale delle entrate e delle uscite, dall’altro è gradualmente diminuita la capacità del sistema di coprire con i contributi la spesa per welfare.
Per il Centro Studi di Itinerari Previdenziali «ciò è dipeso certamente da uno sviluppo insufficiente ma soprattutto dalla mancanza di regole e controlli che ha prodotto un insostenibile debito pubblico».
Debito pubblico alle stelle. Calcolando l’incidenza dei disavanzi sul debito pubblico, nei 36 anni di analisi del report «la regionalizzazione del bilancio previdenziale» il sistema Inps evidenzia un disavanzo cumulativo di periodo pari a 1.209,363 miliardi di euro, al quale si somma quello prodotto dalle gestioni dei dipendenti pubblici (281,82 miliardi di euro) per un totale di 1.491,18 miliardi, pari al 68,3% dell’intero debito pubblico italiano, di cui hanno beneficiato in buona parte ogni anno gli oltre 16 milioni tra pensionati e assistiti, facendo esplodere il rapporto tra debito pubblico e Pil dal 59,4% del 1980 al 132,7% odierno.
Sicilia: 27 mila euro di debito pro-capite. Ripartendo questo disavanzo per le tre aree geografiche del Paese, il Mezzogiorno con 20,8 milioni di abitanti produce il 61,9% del deficit totale (Sicilia, Campania e Puglia producono il 42,9% del debito totale); il Centro (12 milioni di abitanti) assorbe il 14,7%, mentre il Nord (27,7 milioni di abitanti) concorre per il 23,4%.
Pro-capite, nonostante l’attivo della Lombardia, il Nord presenta un debito in moneta 2015 pari a 10 mila euro per ogni cittadino, il Centro di 6.376 euro e il Sud di quasi 27 mila euro (si veda tabella in pagina).
L’analisi condotta dimostra la presenza di una correlazione diretta tra saldi negativi e positivi e la tipologia delle prestazioni in erogazione: infatti, dove prevalgono saldi positivi e tassi di copertura intorno al 70% la maggior parte delle prestazioni sono di tipo «previdenziale» e quindi supportate da contributi realmente versati; viceversa dove i tassi di copertura e i saldi sono fortemente negativi prevalgono prestazioni di tipo «assistenziale».
Al Sud integrazioni al minimo nel 79% dei casi. Nelle regioni del Nord, dove vive il 45,75% della popolazione italiana, prevalgono le pensioni di anzianità (che in genere sono le più elevate, avendo una media di 37 anni di contribuzione contro i circa 22 della vecchiaia), scarsamente presenti al Sud dove prevalgono carriere lavorative discontinue, spesso assistite (prestazioni di sostegno al reddito, giornate ridotte in agricoltura ecc.), con periodi di lavoro irregolare e con basse contribuzioni.
Il gap tra Nord e Sud si riduce di circa 10 punti percentuali per le pensioni di vecchiaia che al Sud sono integrate al minimo nel 79% dei casi (contro il 52% del Nord e il 57% del Centro).
Al Sud, con il 34,36% degli abitanti, le pensioni di vecchiaia e anzianità presentano distribuzioni percentuali inferiori a quella della popolazione mentre prevalgono le pensioni di invalidità (45,68% del totale) e quelle assistenziali (45,57%) con un tasso, in rapporto alla popolazione residente, quasi doppio rispetto al Nord. Il Centro (19,89% di popolazione sul totale) presenta una distribuzione in linea con quella della popolazione. Anche per effetto della numerosità delle prestazioni assistenziali al Sud si pagano molte più prestazioni ai superstiti rispetto a Centro e Nord.
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