di Paola Valentini
Fondi pensione alla prova del test dei costi. La Covip da qualche giorno ha pubblicato sul proprio sito internet un comparatore che permette di mettere a confronto gli Isc, ovvero gli Indicatori sintetici di costo, di fondi pensione aperti, fondi pensione negoziali e piani individuali pensionistici (pip). L’Isc è un valore calcolato in base a parametri stabiliti dalla stessa autorità di vigilanza su diversi orizzonti temporali (si veda box), cioè dai due fino ad arrivare a 35 anni di permanenza nel fondo. D’altra parte, il fattore commissionale è importante per la previdenza complementare perché per sua natura questo è un investimento di lungo termine. E su orizzonti protratti anche piccole differenze di costo possono fare davvero la differenza. Non a caso la stessa commissione di vigilanza sui fondi pensione presieduta da Mario Padula ha imposto che nelle note informative di fondi pensione e pip fosse evidenziato che, a parità di rendimenti, «un Isc del 2% invece che dell’1% può ridurre il capitale accumulato dopo 35 anni di partecipazione al piano pensionistico di circa il 18%, ad esempio da 100 mila a 82 mila euro».

Se quando si sottoscrive un fondo pensione i costi sono un elemento sicuro, sui rendimenti non c’è invece certezza. «Tuttavia la scelta di un fondo pensione, non può essere fatta guardando soltanto ai costi. Il profilo di rischio-rendimento, oltre al momento nel quale si inizia un piano previdenziale, ad esempio, hanno altrettanta importanza», sottolinea Andrea Carbone di Progetica. Che ha elaborato per MF-Milano Finanza un’analisi proprio per capire l’effetto sulla prestazione finale di differenze nei costi e anche nelle performance (tabella in pagina). Dallo studio risulta che effettivamente le commissioni hanno un impatto più rilevante sulla rendita pensionistica rispetto ai rendimenti. «Nelle simulazioni, un punto di costo in meno, seppur di poco, pesa di più di un punto di rendimento in più», conferma Carbone. Ad esempio un quarantenne che versa 1.200 euro all’anno al fondo pensione, al momento di ritirarsi dal lavoro potrà contare su una rendita stimata di 2.369 euro netti all’anno. Nel caso in cui, rispetto a quest’ipotesi di base (che considera l’Isc medio dei fondi pensione aperti), il costo del comparto scelto fosse l’1% in più all’anno, l’assegno scenderebbe del 17%, mentre con un punto annuo di rendimento in meno (rispetto allo scenario di riferimento di un portafoglio al 70% azionario e al 30% obbligazionario) la riduzione sarebbe minore, cioè del 13%. Progetica ha anche calcolato quanto pesa la scelta del lavoratore di posticipare di un anno l’adesione al fondo pensione: in questo caso la diminuzione della rendita sarebbe del 5%. Anche per le altre fasce di età la situazione non cambia: un 1% di costo più riduce di più il montante accumulato rispetto a un 1% di rendimento in meno. Un trentenne si vedrebbe decurtata la rendita del 22% con un punto di commissioni in più e del 17% con un rendimento dell’1% in meno. Stessa situazione se si considera l’ipotesi inversa, ovvero quella che in cui si ipotizza che il lavoratore scelga un comparto con un costo più economico dell’1% o che ottenga un punto di rendimento in più all’anno sempre rispetto allo scenario base. Nel primo caso un 30enne otterrebbe il 30% di pensione integrativa in più, nel secondo il 21% in più.

Il 40enne avrebbe il 21% in più con il fondo più economico e il 15% in più con quello che rende l’1% di più. Per il 50enne tali percentuali di incremento si attestano, rispettivamente, al 13% e al 9%. «Un 30enne, a parità di versamento, potrebbe passare da una rendita annua di 2.534 euro a una di 6.684 euro a seconda delle combinazioni di fattori», afferma Carbone.

Da questi numeri si evince che scegliere i prodotti con i costi più concorrenziali, a parità di rendimenti, dà una notevole marcia in più al portafoglio accumulato per integrare la pensione pubblica. Ma ovviamente la performance dei fondi low cost non deve essere da meno.

Proprio per capire se i prodotti con i costi più competitivi, ovvero con l’Isc più basso, hanno generato nell’ultimo anno risultati sopra la media, MF-Milano Finanza ha elaborato, sulla base dei dati sugli Isc a dieci anni pubblicati dalla Covip (aggiornati al 31 marzo), la classifica dei dieci prodotti meno cari (accanto sono stati inseriti anche i dieci più cari) per ciascuna tipologia di fondo (aperti, negoziali e pip). Per avere un bacino di riferimento omogeneo, per ciascuna di queste tre tipologie è stata operata una ulteriore suddivisione: da una parte le linee azionarie e dall’altra le linee bilanciate. In tutto si tratta di oltre 100 prodotti. È stato considerato l’Isc a dieci anni perché questo rappresenta un buon compromesso tra quello a due anni, troppo breve per l’orizzonte tipico dei piani previdenziali, e quello massimo a 35 anni. E per ciascun comparto è stato indicato il rendimento ottenuto: a 12 mesi per gli aperti (dati Fida a fine aprile) e dell’intero 2016 per i negoziali (dati comunicati dai singoli fondi) e i pip (dati pubblicati nelle note informative 2016 e dall’Ania).

Ecco allora cosa emerge dall’analisi, partendo dalle linee azionarie dei fondi pensione aperti. Va detto che queste hanno un Isc medio a 10 anni dell’1,72%, che si colloca tra lo 0,4% dei negoziali (che riescono a spuntare costi più bassi perché indicono gare per affidare mandati a gestori esterni) e il 2,71% dei pip (in generale più cari perché, essendo prodotti assicurativi, hanno una serie coperture collegate).

Effettivamente tra gli strumenti con l’Isc più basso ci sono diversi prodotti che hanno avuto un risultato a doppia cifra e sopra la media di tutti i fondi aperti che a 12 mesi è del 4% (al netto di costi e delle imposte sui rendimenti). Delle oltre 250 linee sul mercato soltanto una quarantina ha registrato un risultato a un anno superiore al 10%. E tra questi ci sono, appunto, diversi comparti a basso costo. A partire dalla linea Sviluppo Etica del fondo pensione Teseo di Reale Mutua che presenta l’Isc più basso di tutti (0,72%) e a 12 mesi ha fatto il 12,8% netto. Il fondo prevede una commissione di gestione annua pari allo 0,65% e non ha spese per anticipazioni, riscatti o cambio di comparto. Seguono la Linea azionaria del fondo Insieme di Allianz (Isc dello 0,88%) e il comparto Espansione di Secondapensione di Amundi Sgr (Isc dello 0,89%). Anche in questo caso i rendimenti hanno battuto la media: il primo ha fatto l’11,4% e il secondo l’11,7%. Tra i prodotti azionari più cari ci sono alcuni che si sono ben comportati, come la linea Dinamica di Hdi Assicurazioni (Isc dell’1,97% e rendimento a un anno del 14,4%) ma anche altri che invece hanno dato meno soddisfazioni, come emerge dalla tabella in pagina.

Passando ai bilanciati, spicca, tra i meno costosi, Pioneer Futuro la cui linea Bilanciata ha reso l’8,9% a fronte di un Isc dell’1,05%. I comparti bilanciati dei fondi pensione aperti hanno un Isc medio a dieci anni dell’1,43%, contro lo 0,35% dei negoziali e il 2,27% dei pip.
Quanto invece ai fondi pensione negoziali, la premessa è che questi prodotti sono dedicati a singole categorie di lavoratori. Ebbene il comparto più economico tra gli azionari è il Dinamico di Eurofer (dipendenti delle Ferrovie dello Stato) con un Isc dello 0,22% e un rendimento 2016 del 5,34%. Un buon risultato visto che la media delle linee azionarie dei negoziali è stata nel 2016 del 4,4%. Per i negoziali azionari sono stati riportati tutti i comparti perché sono soltanto 15. Molto più numerosa è la categoria dei bilanciati che nel 2016 hanno reso in media il 3,2%; Hanno superato quest’asticella il comparto meno caro, il Bilanciato di Prevedi (fondo degli edili) con un Isc dello 0,21% e una performace del 3,8%, e anche il secondo e il terzo per Isc. Il Bilanciato di Eurofer (Isc dello 0,23%) ha reso il 3,68% e la linea Crescita di Cometa (Isc dello 0,24%) ha fatto il 3,72%.

Quanto ai pip, le linee analizzate sono tutte unit linked (alcune chiuse alle nuove iscrizioni e quindi non sono disponibili i rendimenti). L’Isc medio dei comparti azionari, come accennato, è del 2,71%. Ma c’è anche chi costa quasi due terzi in meno. Si tratta di Pensionline di Genertellife (Generali ), la cui linea Lva Azionario Previdenza è la meno cara di tutte (Isc dell’1,04%); nel 2016 ha reso il 8,49% (non considerando il prelievo fiscale dato che per i pip, a differenza di aperti e negoziali, i rendimenti sono calcolati al lordo dell’aliquota del 20% o del 12,5% se derivano da titoli di Stato e l’imputazione degli oneri fiscali è effettuata direttamente sulla posizione dell’iscritto e non a livello del patrimonio del piano pensionistico). Ma a fare meglio di tutti è il comparto Ev Strategia Internazionale del pip Progetto Pensione Bis di Cattolica: ha un Isc dell’1,59% e nel 2016 ha reso il 6,4%, battendo il rendimento medio 2016 dei pip azionari (6%). Anche tra i pip bilanciati meno cari un comparto di Cattolica ha superato la media 2016 di questa categoria (1,5%): è Cattolica Previdenza Bilanciato del pip Puntalto con il 3,7% e Isc del 2%. Tra le più costose spiccano, invece, due linee del pip Taxbenefit New di Mediolanum Vita: si tratta del comparto azionario Challenge Provident Fund 1 (Isc del 3,22%) e del bilanciato Challenge Provident Fund 2 (Isc del 2,63%) che, nonostante i costi più elevati della media, nel 2016 hanno reso, rispettivamente l’10,2% e il 5,68%.

«L’attenzione della Covip sulla trasparenza dei costi è meritoria, ma non deve far dimenticare che un cittadino va aiutato a valutare le varie componenti di una forma di previdenza, attraverso strumenti in grado di rappresentare le diverse variabili in gioco», conclude Carbone. (riproduzione riservata)
Fonte: