di Jon Sindreu – traduzione di Giorgia Crespi
Nella disperata caccia al rendimento alcuni tra gli investitori più conservatori al mondo si stanno assumendo rischi maggiori scimmiottando le banche ed elargendo direttamente prestito alle imprese.
Negli ultimi anni si è infatti verificato un aumento degli investimenti effettuati da fondi pensione e polizze Vita nel prestito a imprese di media dimensione, le quali incontrano difficoltà a ottenere finanziamenti dalle banche, ora maggiormente avverse al rischio in seguito alla crisi finanziaria. Ma l’inondazione di liquidità sul mercato sta facendo calare i rendimenti, inducendo questi fondi a progettare prodotti più rischiosi e complessi, aumentandone la leva finanziaria.
Siccome i tassi di interesse sotto zero e l’ulteriore stimolo monetario delle banche centrali hanno fatto scendere i rendimenti in tutti i mercati, fondi pensione e polizze Vita hanno faticato per far fronte alle passività a lungo termine. Ciò li ha incoraggiati a puntare su asset più rischiosi, quali immobili, private equity e ora appunto anche il prestito diretto alle imprese.
Il rischio potrebbe ritorcersi contro gli investitori, per i quali i rendimenti stabili sono particolarmente importanti. Potrebbe anche essere problematico per le imprese e il mercato in senso più ampio se iniziassero a emergere casi di default.
«È preoccupante», ha commentato Niels Bodenheim, private-markets director di bfinance. «I fondi pensione non sono sempre consapevoli della differenza» tra un investimento più o meno sicuro nel prestito diretto».
Stando a Preqin, lo scorso anno i gestori hanno raccolto 25 miliardi di dollari da investitori di tutto il mondo per il prestito diretto. Un decennio fa l’importo si aggirava sui 2 miliardi di dollari. E alcuni analisti prevedono che la crescita aumenterà di ritmo.
La liquidità in entrata è così tanta che i gestori non riescono sempre a investirla. A maggio, sempre secondo Preqin, si contavano 62 miliardi di dollari fermi in questi fondi, mentre un decennio fa l’importo era intorno a 12 miliardi di dollari.
Una recente indagine di bfinance ha riscontrato che i gestori di fondi privati di debito senior non a leva prevedono un rendimento superiore all’8%, ma stanno ottenendo tra il 5% e il 6%. Mentre le cifre degli anni precedenti non sono direttamente comparabili, in quanto c’è stata «una notevole compressione sugli spread dal 2012», recita il rapporto.
Il prestito diretto alle imprese porterà sempre più rischi per i fondi pensione e le assicurazioni rispetto al tipico investimento obbligazionario, che generalmente può essere negoziato sui mercati pubblici ed è quindi più facile da cedere.
E i rischi potrebbero aumentare. Per migliorare la resa i fondi stanno rivedendo al rialzo la leva e incrementando la complessità di investimenti etichettati come «sicuri». Il debito senior, che in caso di insolvenza è rimborsato in prima istanza, viene sempre più impacchettato in una singola tranche insieme con diverse quote di debito junior.
A sentire gli investitori, i nuovi arrivati in questo mercato, ossia appunto fondi pensione e polizze Vita, specialmente in Europa, non sono abituati ad avere a che fare con simili strutture.
Inoltre un mercato tradizionalmente dominato da una dozzina di grandi istituti è stato saturato dai nuovi arrivati. Nel 2008 erano 16 i fondi che concedevano prestiti diretti, mentre nel 2016 il numero era già salito a 55 (dati Preqin).
Secondo i player più grandi, sono quelli più piccoli a portare rischio perché non hanno la forza per diversificare e valutare adeguatamente i mutuatari.
«Ci stiamo calando nei panni delle banche e per fare questo serve una certa stazza», ha spiegato Max Mitchell, responsabile del prestito diretto di Intermediate Capital Group, che gestisce 15,5 miliardi di euro di attività di prestito diretto in tutto il globo.
Alcuni dei piccoli, però, sostengono di vagliare i soggetti a cui erogano prestito in base alle proprie dimensioni, evitando così il mercato dominato da realtà leggermente più grandi che ora risulta sovraffollato nonché più complesso e a leva maggiore, ha riferito Alastair Brown, direttore del prestito diretto presso Shard Credit Partners, piccola società con sede a Londra. Un gruppo diversificato di prestiti a imprese più piccole può ancora rendere il 9% oltre il tasso d’interesse privo di rischio, rispetto al 5% attualmente riservato da grandi imprese, ha detto.
Inoltre, secondo gli analisti, malgrado i nuovi fondi, esistono ancora molte opportunità nel prestito diretto, viste le richieste di società a cui le banche non prestano ma che sono troppo piccole per attingere ai mercati pubblici.
Gli investitori affermano che i rischi possano essere facilmente diversificati su tutti i Paesi europei, che negli ultimi anni hanno cominciato a recuperare rispetto agli Stati Uniti.
Un test-chiave si presenterà quando i tassi di fallimento saliranno, poiché una singola insolvenza è molto più dannosa per un fondo che per una banca. In aprile, per esempio, le azioni del Ranger Direct Lending Fund basato a Londra sono crollate del 22% dopo che un fondo in cui aveva investito ha concesso prestiti a un servizio online che è fallito. Secondo Bill Kassul, partner a Ranger, nonostante i problemi lungo il percorso, gli investitori si sentiranno rassicurati in questo settore fintantoché i creditori diretti preserveranno i loro soldi.
Ma Greg Peters, gestore di portafogli di credito di Pgim, è preoccupato: «C’è una proliferazione di nuove imprese con poca capacità e senza alcuna comprovata esperienza che stanno raccogliendo denaro», ha denunciato. «Se c’è una storia da scrivere sulla prossima recessione, è nel credito privato».
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