Ai fini dell’infortunio in itinere, l’uso della bicicletta (ovvero, secondo il codice della strada, del veicolo, con due o più ruote, funzionante a propulsione esclusivamente muscolare, per mezzo di pedali anche se a pedalata assistita), deve ritenersi sempre assicurato, come lo è l’andare al lavoro a piedi o con utilizzo del mezzo pubblico.
L’utilizzo della bicicletta da parte del lavoratore per recarsi al lavoro deve essere allora valutato in relazione:
- al costume sociale
- alle normali esigenze familiari del lavoratore
- alla presenza di mezzi pubblici
- alla modalità di organizzazione dei servizi pubblici di trasporto nei luoghi in cui più è diffuso l’utilizzo della bicicletta
- alla tipologia del percorso effettuato (un conto è l’impiego su un percorso urbano, un conto su una strada non urbana)
- alla conformazione dei luoghi
- alle condizioni climatiche in atto (e non tanto a quelle stagionali)
- alla tendenza presente nell’ordinamento e rivolta all’incentivazione dell’uso della bicicletta.
È stata quindi annullata la decisione dei giudici del merito che avevano escluso l’ipotesi di infortunio in itinere per l’incidente occorso a un lavoratore che rientrava dal lavoro in bicicletta, atteso che il giudice d’appello aveva parametrato la legittimità del ricorso al mezzo privato soltanto in relazione al criterio della distanza che separava l’abitazione dal luogo di lavoro; mentre la legittimità del mezzo in questione andava individuata in relazione a un criterio di normalità-razionalità che tenesse conto di vari standard comportamentali della società civile, rispondendo a valori guida dell’ordinamento all’interno di un determinato contesto socio economico; secondo la Corte, la distanza, tanto più quando venga in considerazione l’utilizzo della bicicletta, non può essere ritenuta in assoluto un criterio selettivo da solo sufficiente a individuare la necessità dell’uso del mezzo privato.
Cassazione civile sez. lav., 13/04/2016 n. 7313