Il provvedimento (decreto legge n. 65/2015) emanato dal governo per limitare l’impatto sui conti pubblici della sentenza costituzionale relativa alla mancata perequazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo, si occupa anche della cosiddetta svalutazione del montante contributivo, utile per calcolare la pensione con il criterio contributivo.
L’ultimo dato fornito dall’Istat riguarda i contributi accantonati nell’anno 2013. Per la prima volta, da quando la riforma Dini del 1995 ha introdotto il metodo di calcolo contributivo, la «rivalutazione» del Pil (cosa si esprime la norma) presenta un tasso negativo: -0,998073.
Ciò, in teoria, vuol dire che se un pf che nel 2013, con un reddito di 30 mila euro, ha versato all’Inps 6.525 euro di contributi (il 21,75%, aliquota che raggiungerà il 24% dal 2018), oggi si ritrova 6.512 euro (13 euro in meno). Insomma, per la dote contributiva accumulata fino al 2013, a causa della recessione, il coefficiente di rivalutazione, se non fosse intervenuto il decreto legge, avrebbe assunto un valore negativo. Grazie al recente provvedimento, il coefficiente di rivalutazione del montante contributivo non può, in ogni caso, essere inferiore a uno.