di Luisa Leone
Cenerentola è pronta a diventare principessa. Dopo la retromarcia di qualche mese fa sulla banca per l’export, ora il governo italiano sembra pronto a puntare davvero sulla Sace e a farne il perno del suo piano di rilancio dell’export tricolore. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, nell’ambito delle attività promosse dal ministero dello Sviluppo a favore dell’internazionalizzazione delle aziende italiane è stato da poco messo a punto un ambizioso progetto che riguarda proprio il gruppo assicurativo.
Il piano è stato confezionato con l’aiuto dei consulenti di Boston Consulting Group e la supervisione di Andrea Guerra, ex amministratore delegato di Luxottica e oggi consigliere del premier Matteo Renzi. Sostanzialmente si tratta di fare della Sace l’interlocutore unico delle aziende in tema di internazionalizzazione, portando sotto il cappello della società di assicurazione del credito anche la Simest e permettendole di fare anche credito diretto tramite una banca import-export. Un elemento, quest’ultimo, che l’esecutivo aveva tentato di attivare già lo scorso inverno inserendo nel decreto Investment Compact una norma che consentiva alla società guidata dall’amministratore delegato Alessandro Castellano di intervenire anche per i finanziamenti finalizzati all’export e all’internazionalizzazione. Peccato che, per come è stato gestito, il dossier finì per irritare i vertici della controllante Cassa Depositi e Prestiti, che si schierò apertamente contro il progetto e riuscì a ottenere che il decreto fosse modificato in Parlamento in modo da ricondurre sotto il suo cappello l’attività di finanziamento alle esportazioni, attività che in parte la Cdp già svolgeva, assieme ad Abi e alla stessa Sace, nell’ambito del progetto Export Banca.
Ma, come ricordato pochi giorni fa dal viceministro allo Sviluppo Carlo Calenda, quel veicolo non è mai decollato davvero.
Una spia dei dissapori tra esecutivo e i vertici di Cassa Depositi e Prestiti che pare sia entrata nel cahier de doléances sulla gestione del presidente Franco Bassanini e dell’ad Giovanni Gorno Tempini, ora in discussione (vedere altro articolo in pagina). Tuttavia non si può certo dire che in casa Sace si canti già vittoria, anzi sul progetto targato Boston Consulting il gruppo assicurativo si trincera dietro un secco «no comment». Tuttavia è stato sempre Calenda a uscire di recente allo scoperto anche su un altro tassello del progetto, ovvero il possibile passaggio di Simest sotto le insegne Sace.
Secondo il viceministro «dal punto di vista dell’internazionalizzazione delle imprese, Sace e Simest vanno integrate per dare tutto un set di strumenti alle piccole e medie imprese».
Per avere un sistema di export banca al pari di Francia e Germania quindi «non possiamo permetterci di perdere un minuto in più, al di là delle beghe interne di governo e di Cdp perché è indecoroso», ha concluso senza troppi giri di parole Calenda. E i toni utilizzati sembrano testimoniare che il responsabile dell’internazionalizzazione dell’esecutivo abbia la faccenda sufficientemente a cuore.
Peraltro di una possibile integrazione tra Sace e Simest, una attiva nell’assicurazione al credito e l’altra soprattutto nel sostegno tramite la partecipazione in equity, si parla da tempo. Da ultimo il dossier era tornato di attualità dopo l’acquisto di entrambe da parte di Cdp nel 2012. Quell’operazione servì a rimpinguare le casse dello Stato ma l’idea era anche far transitare le società sotto le insegne Cdp per valorizzarla al meglio, anche attraverso l’individuazione di più o meno strette sinergie. Alla fine non se ne fece nulla ma ora il momento sembra davvero arrivato e non è un caso, probabilmente, che venerdì 12 in occasione dell’assemblea Simest, non si sia proceduto al rinnovo dei vertici ma solo a dare il via libera al bilancio 2014, chiuso con un ebitda di 24,4 milioni (più della metà dei ricavi) e un utile prima delle imposte di 14 milioni. A fine 2014, le partecipazioni detenute da Simest hanno raggiunto, un valore di 665 milioni, tra quelle proprie (497 milioni) e quelle in gestione del Fondo di Venture Capital (168 milioni). Per quanto riguarda le sole partecipazioni Simest (fino a un massimo del 49% del capitale sociale) nel corso dell’ultimo anno sono stati approvati 62 progetti di imprese italiane all’estero e in Italia, con un impegno di 130 milioni: ciò consente di realizzare investimenti complessivi per oltre 670 milioni.
Il progetto Super-Sace elaborato dal ministero dello Sviluppo e i suoi consulenti prevederebbe proprio di creare in Sace un polo per l’export con tutti e tre gli strumenti necessari per renderlo interlocutore esaustivo: assicurazione, finanziamenti e intervento in equity. Un passaggio che per l’esecutivo è strumentale al rilancio di tutto il settore più avanzato dell’economia italiana e che per il gruppo guidato da Castellano significherebbe anche il ritorno d’attualità del tema quotazione. Inserita dal governo Letta nella lista delle privatizzazioni, l’apertura del capitale di Sace è poi finita nel dimenticatoio, forse anche perché nel mentre ha distribuito dividendi straordinari per circa 2 miliardi con i quali la Cassa si è comunque parzialmente rifatta dei denari (6 miliardi) spesi per l’acquisto, pur mantenendo saldamente in mano il 100% del capitale. Ora il probabile ricambio ai vertici della capogruppo potrebbe contribuire a rilanciare il dossier privatizzazione. Tuttavia lo sbarco sul mercato del gruppo assicurativo dovrebbe passare per una serie di step, a partire dalla redazione di un piano industriale che tenga conto delle nuove prerogative, se davvero il progetto Super-Sace si concretizzerà. Il che per altro potrebbe migliorare la redditività della compagnia assicurativa, rendendola più appetibile per i potenziali investitori. (riproduzione riservata)