Così come in àmbito contrattuale anche ai fini della configurabilità della responsabilità extracontrattuale la colpa si sostanzia nell’inosservanza di leggi, regolamenti, regole e discipline nonché nell’obiettiva violazione degli aspetti della diligenza, della prudenza e della perizia, al cui rispetto il soggetto deve improntare la propria condotta (anche) nei rapporti della vita comune di relazione.
Designando lo sforzo dal soggetto dovuto per la salvaguardia dell’interesse altrui, avuto riguardo alle circostanze concrete del caso, in entrambe le ipotesi la diligenza si pone altresì quale criterio di responsabilità; essa segna dunque la condotta obiettivamente dovuta, la cui violazione ridonda in termini di responsabilità civile (anche) extracontrattuale e obbliga al risarcimento dei danni derivanti dall’evento causalmente ascrivibile alla condotta negligente, e pertanto illecita.
Con particolare riferimento all’obbligazione negoziale, la diligenza va a tale fine correlata alla qualità del soggetto, e valutata secondo criteri di normalità da apprezzarsi in relazione alle condizioni del medesimo, avuto in particolare riguardo alla relativa qualificazione.
Lo specifico settore di competenza in cui rientra l’attività esercitata richiede infatti la specifica conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell’attività necessaria per l’esecuzione dell’attività professionale espletata.
Il debitore è di regola tenuto ad una normale perizia, commisurata alla natura dell’attività esercitata (secondo una misura obiettiva che prescinde dalle concrete capacità del soggetto, sicché deve escludersi che ove privo delle necessarie cognizioni tecniche il debitore rimanga esentato dall’adempiere l’obbligazione con la perizia adeguata alla natura dell’attività esercitata); mentre una diversa misura di perizia è dovuta in relazione alla qualifica professionale del debitore, in relazione ai diversi gradi di specializzazione propri dello specifico settore di attività.
Atteso che la diligenza deve valutarsi avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata (art. 1176, 2 co., c.c.), così come al professionista (e a fortiori allo specialista) anche al prestatore d’opera e al lavoratore subordinato è richiesta una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall’impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attività da espletare e allo standard professionale della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità, giacché chi assume un’obbligazione nella qualità di specialista, o una obbligazione che presuppone una tale qualità, è tenuto alla perizia che è normale della categoria.
L’impegno (non solo dal professionista, e a fortiori dallo specialista, ma anche) dal prestatore d’opera e dal lavoratore subordinato dovuto, se si profila superiore a quello del comune debitore, va considerato viceversa corrispondente alla diligenza normale in relazione alla specifica attività professionale o lavorativa esercitata, giacché il medesimo deve impiegare la perizia e i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale o lavorativa della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità; lo sforzo tecnico implica anche l’uso degli strumenti materiali normalmente adeguati, ossia degli strumenti comunemente impiegati nel tipo di attività professionale o lavorativa in cui rientra la prestazione dovuta.
Il normale esito della prestazione dipende allora da una pluralità di fattori, quali l’attuale stato della tecnica e delle conoscenze scientifiche (stato dell’arte), l’organizzazione dei mezzi adeguati per il raggiungimento degli obiettivi in condizioni di normalità, ecc.; la normalità risponde quindi ad un giudizio relazionale di valore, in ragione delle circostanze del caso.
Nei comuni rapporti della vita di relazione (oltre che nell’adempimento delle obbligazioni) il soggetto deve osservare altresì gli obblighi di buona fede oggettiva o correttezza, quale generale principio di solidarietà sociale la cui violazione comporta l’insorgenza di responsabilità (anche) extracontrattuale.
È pertanto tenuto a mantenere un comportamento leale, osservando obblighi di informazione e di avviso nonché di salvaguardia dell’utilità altrui – nei limiti dell’apprezzabile sacrificio -, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi.
La manovra di retromarcia è operazione assolutamente anomala, stante la anormalità del procedere in senso inverso e la difficoltà di bene e costantemente ispezionare la strada da impegnare.
Trattasi di manovra che deve essere pertanto eseguita in condizioni di assoluta sicurezza, esigendo un comportamento improntato a particolare prudenza da parte del conducente, il quale è tenuto a una condotta diligente e connotata da buona fede tanto più accentuata in ragione della relativa particolarità stante la intrinseca maggiore difficoltà di percepire gli ostacoli e le insidie nonché di mantenere il dovuto completo controllo della situazione al fine di condurla a termine indenne.
Deve pertanto adottare tutte le cautele idonee a evitare di investire persone che accidentalmente si trovino sul percorso ovvero a controllare la strada, a fortiori in presenza di situazioni che come nella specie rendano maggiormente difficoltosa ovvero grandemente ostacolino la relativa percezione.
A tale stregua, con attenzione che deve permanere ininterrottamente per tutto lo svolgimento della manovra in corso di esecuzione fino al suo completamento, è tenuto non solo ad accertarsi che, da tergo, il campo stradale sia libero, ma anche che il veicolo possa essere spostato dalla posizione in cui si trova senza pericolo per alcuno, dovendo vigilare con la massima attenzione e dominare visivamente la strada da percorrere, sia durante la marcia normale sia (e soprattutto) durante l’esecuzione di una retromarcia, nella quale la visibilità è parzialmente preclusa dal retrotreno o comunque dalla parte retrostante del veicolo, sicché risulta diminuita la possibilità di evitarsi gli ostacoli che possano presentarsi.
Ne consegue che laddove la visione della parte retrostante della strada si presenti particolarmente difficile e incompleta per la mole, l’altezza o la sagoma del mezzo condotto, il conducente deve adottare tutti gli accorgimenti necessari per effettuare la manovra di retromarcia in condizioni di sicurezza, anche ricorrendo alla collaborazione di terzi che da terra possano dargli le debite indicazioni, segnalazioni ed istruzioni per consentirgli di effettuarla senza alcun pericolo per i terzi, anche trasportati, i quali fanno logicamente e giustificatamente affidamento sul possesso e l’applicazione da parte sua delle conoscenze e cognizioni tecniche tipiche per porla adeguatamente in essere.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, 20 febbraio 2015 n. 3367