Una mossa non gradita a Federcasse, che intende conservare l’unità del sistema e i suoi fiori all’occhiello. Ma gli istituti più importanti vogliono preservare il patrimonio oltre all’autonomia
di Claudia Cervini
Quel che è certo è che sarà una settimana decisiva per le banche di credito cooperativo, alle prese con un complicato processo di autoriforma. Da un lato Federcasse accelera sul licenziamento del documento per anticipare il Governo, che potrebbe affrontare l’argomento già nel Consiglio dei ministri di domani. Dall’altro, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, alcune delle principali banche di credito cooperativo stanno spingendo affinché l’eventuale decreto preveda la trasformazione di queste bcc in banche popolari (o in spa, laddove gli attivi siano superiori a 8 miliardi di euro). Gli istituti di maggiori dimensioni non intendono infatti rinunciare alla propria autonomia ma, soprattutto, non vogliono aderire a un gruppo unico nazionale in cui, per le logiche che legano la capogruppo alle bcc sottostanti (patto di dominio), sarebbero costrette a impiegare parte del patrimonio per garantire la solidità del gruppo unico rimediando alle carenze delle banche patrimonialmente più deboli. Quello che alcuni istituti starebbero chiedendo è che il governo consenta la trasformazione da bcc in popolari o addirittura in spa liberando le riserve, sulle quali sarebbero disposte a pagare una tassa una tantum. Il passaggio però non è affatto semplice e servirebbe una norma ad hoc. Le bcc, infatti, godono dell’esenzione fiscale sugli utili e hanno l’obbligo di riservare il 70% degli utili a riserva. Queste riserve sono indivisibili e servono a svolgere attività bancaria e mutualistica. Nel momento in cui venisse a cessare l’attività mutualistica la banca non potrebbe più disporre delle proprie riserve, che tornerebbero in possesso del ministero, il quale le destinerebbe a sua volta ad altra attività mutualistica e cooperativa. Il pressing per poter compiere un’operazione del genere è partito e resta da vedere come proseguirà la partita. La mossa non sarebbe infatti gradita a Federcasse, che vuole invece preservare l’unità del sistema.
Se le bcc di maggiori dimensioni, riferisce una fonte, dovranno aderire alla linea Federcasse (cioè una capogruppo nazionale per l’intero sistema) e non sarà consentita la possibilità di trasformarsi, allora i soci minacciano ricorsi agli organi competenti.
Dal canto suo Federcasse pare aver raggiunto l’accordo con Raiffeisen. Cassa Centrale potrebbe fare da capogruppo alle casse altoatesine, mantenendo quindi una posizione autonoma su base provinciale. Non è stato invece raggiunto l’accordo con i trentini, che vorrebbero costituire un gruppo autonomo ma su base nazionale. Questo è l’elemento più ostico, sul quale le diverse componenti del credito cooperativo sembra non riescano a trovare l’accordo.
La riforma è però urgente. Lo stesso governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, al Festival dell’Economia di Trento aveva detto: «Mi attendo in tempi brevi» una riforma che consenta alle bcc l’accesso al mercato dei capitali. (riproduzione riservata)