I doveri di correttezza e buona fede impongono al creditore di non aggravare inutilmente, e senza propria necessità, la posizione del debitore.
Tanto si legge nella Relazione ministeriale al codice civile, ove si afferma che l’art. 1175 c.c. “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore“.
Tale criterio di reciprocità, collocato nel quadro di valori introdotto dalla Carta costituzionale, deve essere inteso come una specificazione degli inderogabili doveri di solidarietà sociale imposti dall’art. 2 della Costituzione.
La sua rilevanza si esplica pertanto nell’imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, anche a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o legali.
Con riferimento al nostro caso, l’applicazione di tali principi impone all’assicurato di non avvalersi della facoltà di resistere in giudizio, se ciò non solo non possa arrecargli vantaggio alcuno, ma anzi esponga l’assicuratore all’onere di rifondere all’assicurato spese avventatamente sostenute.
Il ricorso è, ancora, infondato nella parte in cui pretenderebbe che l’assicurato abbia diritto a ripetere dal proprio assicuratore le spese di resistenza anche quando non avesse interesse a resistere all’azione del terzo danneggiato: e ciò per le medesime ragioni appena indicate.
Il contratto di assicurazione della responsabilità civile rientra nel genus delle assicurazioni contro i danni, consistendo in una assicurazione di patrimoni, ed essendo il patrimonio dell’assicurato una “cosa” in senso giuridico.
Né può dubitarsi del fatto che l’obbligo di salvataggio di cui all’art. 1914 c.c. debba trovare applicazione anche con riferimento alle spese di resistenza.
Il contratto di assicurazione della responsabilità civile pone a carico dell’assicuratore due diverse obbligazioni: una è quella di tenere indenne l’assicurato dalle richieste risarcitorie del terzo danneggiato; l’altra è quella di rifondergli le spese sostenute per difendersi in giudizio dalle pretese del terzo danneggiato.
L’una e l’altra di tali obbligazioni mirano a coprire il medesimo rischio (l’impoverimento): la prima lo copre nel caso in cui esso derivi dal sorgere d’un debito; la seconda lo copre se esso derivi dall’affrontare una spesa.
La prima garanzia dunque forma oggetto di una assicurazione di patrimoni, la seconda d’una assicurazione contro il rischio di perdite pecuniarie.
Da quanto esposto consegue che l’eventualità che l’assicurato debba sostenere spese per resistere in giudizio costituisce un “rischio assicurato”, non meno dell’eventualità di dover risarcire il terzo danneggiato.
Se dunque il rischio di sostenere spese di resistenza è un danno, e forma anch’esso oggetto di copertura assicurativa, anche per esso sussiste il dovere dell’assicurato di “fare quanto gli è possibile” per evitarlo o diminuirlo, secondo la previsione di cui al primo comma dell’art. 1914 c.c.
Deve dunque escludersi che il Tribunale sia incorso in errori di diritto, essendosi anzi conformato ai seguenti, corretti principi:
(A) Nell’assicurazione di responsabilità civile, l’assicurato non ha diritto sempre e comunque alla rifusione da parte dell’assicuratore delle spese sostenute per resistere all’azione del terzo danneggiato, ai sensi dell’art. 1917, comma 3, c.c.; tale diritto deve infatti escludersi quando l’assicurato abbia scelto di difendersi senza averne l’interesse né potendone ritrarre utilità, ovvero in mala fede, ovvero abbia sostenuto spese sconsiderate.
(B) L’obbligo di salvataggio di cui all’art. 1914 c.c. si applica anche al contratto di assicurazione della responsabilità civile, ed in tal caso impone all’assicurato di evitare di resistere al giudizio promosso contro di lui dall’assicurato, quando da tale resistenza non possa ricavare beneficio alcuno.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, 19 marzo 2015 n. 5479