di Carlo Giuro
In un Paese come il nostro caratterizzato da una pressione fiscale davvero notevole assume particolare valenza, al di là dell’obiettivo precipuo che persegue, la previdenza complementare che rappresenta la forma di risparmio maggiormente agevolata nel nostro Paese nonostante il recente innalzamento della aliquota sui rendimenti dei fondi pensione con la scorsa legge di Stabilità. L’approssimarsi delle diverse scadenze per gli adempimenti fiscali rappresenta l’occasione per ripercorrere quali sono i benefici fiscali di cui si usufruisce aderendo a una forma pensionistica complementare. Partendo dai contributi versati, dal lavoratore e dal datore di lavoro o committente, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, anche aziendali, alle forme di previdenza complementare, questi sono deducibili dal reddito complessivo per un importo non superiore a 5.164,57 euro. In dichiarazione dei redditi il lavoratore dipendente che ha versato contributi tramite il proprio datore di lavoro non dovrà riportare nulla essendo la deduzione già operata dal sostituto di imposta.
Se invece ha aderito a una forma previdenziale individuale fuori dal rapporto di lavoro e ha capienza di deducibilità entro i limiti dei 5.164,57 euro dovrà inserirlo in dichiarazione. Approfondimento merita poi il caso dei lavoratori di prima occupazione successiva alla data di entrata in vigore del decreto 252/2005 (1° gennaio 2007) a beneficio dei quali, limitatamente ai primi cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari, è consentito, nei 20 anni successivi al quinto anno di partecipazione a tali forme, di dedurre dal reddito complessivo contributi eccedenti il limite di 5.164,57 euro pari alla differenza positiva tra l’importo di 25.822,85 euro e i contributi effettivamente versati nei primi cinque anni di partecipazione per un importo non superiore a 2.582,29 euro. Pertanto, l’importo massimo annuale complessivamente deducibile è di 7.746,86 euro ricorrendo le condizioni per l’incremento .Sono deducibili poi, sempre entro il limite annuo di 5164,57 euro i contributi versati nell’interesse delle persone fiscalmente a carico.
Va rammentato ancora come si continua poi a beneficiare ugualmente del vantaggio della deducibilità fiscale, anche nei casi di prosecuzione volontaria, oltre il raggiungimento dell’età pensionabile, dei versamenti dei contributi alle forme pensionistiche complementari (tale scelta di contribuzione libera è ammessa a condizione che l’aderente possa far valere, alla data del pensionamento, almeno un anno di contribuzione a favore delle forme di previdenza complementare). Last but not least, eventuali contributi versati oltre il limite di deducibilità dei 5.164,57 euro se dichiarati entro il 31 dicembre dell’anno successivo al versamento, saranno esentati da tassazione in sede di erogazione della prestazione finale in forma di rendita o in capitale. Queste ultime infatti sono imponibili al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta.
Sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche comunque erogate è operata una ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 15% ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il 15° anno di partecipazione con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali. Andando alla tassazione di rendimenti l’aliquota è stata portata dal 2015 dall’11,5 al 20% (comunque inferiore al 26% delle altre rendite finanziarie) ma, con riferimento alla quota investita in titoli di Stato, si applica il 12,5%. Va ancora ricordato come sia stato firmato lo scorso 7 maggio il decreto del ministero dell’Economia con cui si rende operativo il credito d’imposta del 9% per i fondi pensione che investiranno nell’economia reale, così come previsto in legge di Stabilità. Con riferimento a tale componente si sterilizza l’incremento di aliquota sui rendimenti nel caso in cui vi sia un contributo da parte degli investitori previdenziali allo sviluppo economico del Paese. (riproduzione riservata)