Azimut Holding ha modificato il patto di sindacato, rendendolo più flessibile, e parte dei soci che hanno conferito le azioni ha alleggerito la presa cedendo 7,5 milioni di titoli pari al 5,26% del capitale sociale del gruppo. Così l’ad e presidente del gruppo Pietro Giuliani mantiene una partecipazione dello 0,35% del capitale (rispetto al precedente 1,45%) conferito al patto, quota che potrebbe successivamente aumentare ogni anno tramite gli strumenti partecipativi dello 0,05%.
Al patto resta il 13,9% di Azimut Holding.
Domanda. Ingegner Giuliani, lei e altri top manager avete realizzato incassi milionari dal recente collocamento di azioni tra investitori istituzionali. Cosa comporta per la società?
Risposta. Continueremo a muoverci come ci siamo mossi finora. Riducendo le partecipazioni abbiamo ribilanciato un po’ la governance del patto stesso che vedeva il 90% delle azioni in mano a consulenti con più di nove anni di anzianità ma che rappresentano meno del 25% delle masse gestite dal gruppo e meno del 10% della raccolta netta degli ultimi tre anni. Inoltre l’idea è accrescere l’importanza nel patto degli strumenti partecipativi, cioè le azioni che in proporzione al 15% dell’utile netto annuale sono attribuite su basi meritocratiche ai dipendenti e che vi sono automaticamente conferite.
D. Non c’è quindi da temere un suo progressivo disimpegno dal gruppo?
R. La risposta è no. In questo momento di discontinuità, in cui i mercati finanziari sono a livelli elevati, ho colto l’occasione per ridurre la quota perché è mia intenzione, quando tutti si metteranno a vendere e ci saranno prossime correzioni, ricomprare le azioni. L’idea è quindi rientrare con una partecipazione progressiva per dare messaggi positivi sulla società e sui mercati.
D. Nessun compratore all’orizzonte?
R. No, anche se in molti continuano a pensarlo. La partecipazione è stata assorbita dal mercato e da investitori che volevano incrementare le loro quote o da qualcuno che voleva entrare e che ha colto l’occasione del 5% in vendita.
D. Volatilità, tassi previsti in rialzo, mercati considerati cari. Come vi muoverete?
R. Questo è un problema per chi tre anni fa perdeva. Noi andiamo avanti con i nostri metodi che funzionano: attrazione dei talenti, contesto imprenditoriale e architettura aperta non solo sulle sgr ma su tutta la piattaforma di wealth management. Abbiamo rafforzato la piattaforma di gestioni patrimoniali dove il cliente può lasciare i soldi nella sua banca.
D. Siete aggressivi nel reclutamento. Quanto conta per voi?
R. Sono una parte preponderante della crescita, parliamo di 2,5-3 miliardi di euro l’anno, quindi circa di un 50%, se si considera che nel 2014 la raccolta è stata pari a 5,6 mld di euro. Ad aprile abbiamo conquistato il primo posto anche nella classifica per raccolta netta media pro-capite, con i 1.533 professionisti che hanno portato a casa, in media, 331 mila euro ciascuno.
D. Ancora acquisizioni in vista?
R. Abbiamo appena firmato un accordo per rilevare l’intero capitale di Pride Advice tramite la nostra controllata australiana. Abbiamo già il 2,6% del totale del mercato dell’asset management in Turchia (in Italia è circa il 2%, ndr), e poi ci rafforzeremo in Brasile e Asia.
D. Quale futuro per i consulenti finanziari?
R. Con la tecnologia sempre più spinta, il mercato è in continua evoluzione. È importante anche il ringiovanimento della popolazione dei consulenti che oggi hanno, in media, 52 anni. Questa professione va portata allo stesso livello di percezione che hanno altre professioni, come l’avvocato, il commercialista o il medico. (riproduzione riservata)