di Anna Messia
Sono in buona salute le compagnie assicurative italiane e per certi aspetti sono messe anche meglio di alcuni competitor europei. Il quadro delineato ieri dal presidente Ivass, Salvatore Rossi, durante la relazione annuale dell’istituto di controllo, è confortante. La crisi del biennio 2010-2011, che aveva imposto alle imprese perdite cumulate per circa 4,4 miliardi, è ormai definitivamente alle spalle. Nei tre anni successivi sono tornati i profitti, dell’ordine di 5-6 miliardi l’anno. «Tutti i rami di attività hanno contribuito al buon risultato», ha dichiarato Rossi, e le imprese italiane in questi anni hanno migliorato la redditività, recuperando terreno rispetto al resto d’Europa. L’anno scorso «il roe complessivo per l’industria assicurativa italiane è salito al 9,3%, rispetto all’8,2% del 2013, allineandosi a quello medio europeo», si legge nella relazione. Se si guarda la raccolta premi, le compagnie assicurative italiane nel 2014 hanno poi ottenuto un risultato decisamente migliore di quello medio europeo con un circa 150 miliardi rastrellati, il 20% in più del 2013 che era già stato un anno in crescita. Tanto che oggi l’industria assicurativa rappresenta circa il 9% del pil e gli investimenti delle compagnie di assicurazione hanno raggiunto 630 miliardi, quasi il 12% in più rispetto a fine 2013. Una crescita spinta tutta dal comparto Vita, mentre le polizze Danni, in particolare quelle Rc Auto, sono in una fase discendente e la cronica sottoassicurazione degli italiani negli altri rami Danni non accenna a mutare.
In ogni caso le imprese italiane hanno le spalle larghe anche di fronte all’imminente arrivo della rivoluzione Solvency II, che da gennaio prossimo cambierà le regole di valutazione del rischio e di assorbimento di capitale. Stime puntuali degli effetti sul capitale sono ancora premature, perché le imprese sono «ancora in mezzo al guado», come ha dichiarato Rossi, ma dalle prime segnalazioni di vigilanza coerenti con Solvency II, riferite al 31 dicembre 2014, sono emerse indicazioni complessivamente tranquillizzanti: i fondi propri ammissibili a copertura dell’indice di solvibilità «si commisurano per l’intero sistema a più di 2 volte il requisito regolamentare», si legge nella relazione. In pratica in media il sistema avrebbe il doppio del capitale richiesto e le imprese che necessiterebbero di aumenti di capitale rappresentano appena il 3% del mercato in termini di raccolta.
Certo, restano da definire dettagli non trascurabili. Le imprese stanno mettendo a punto i propri modelli (scegliendo tra la formula standard prevista di default da Solvency II o prevedendo corretti e modelli interni) e resta anche da chiarire come bisognerà considerare il rischio sovrano nei modelli stessi. Un nodo rilevante per le assicurazioni italiane, che in pancia hanno più di 250 miliardi di euro di titoli di Stato italiani e che potrebbero essere costrette a cambiare scelte d’investimento qualora si decidesse per la stretta. Lo scorso aprile, come noto, l’Eiopa ha suggerito di considerare rischiosi i titoli di Stato, ma con il voto contrario dell’Ivass, e il dibattito è ancora aperto. In ogni caso, a prescindere da quale sarà l’orientamento europeo definitivo, l’autorità guidata da Rossi ha già chiesto alle imprese italiane di prendere in considerazione il rischio sovrano «valutandone caso per caso le eventuali implicazioni, anche in termini di coefficienti patrimoniali».
Confortanti sono intanto anche i risultati arrivati dallo stress test lanciato dall’Eiopa lo scorso anno e che prevedeva due scenari. Uno shock sugli spread da una parte e uno scenario di persistenti bassi tassi d’interesse dall’altra. Il secondo «è nel frattempo quasi realtà», ha sottolineato Rossi, riducendo lo scarto tra rendimenti ottenuti e garanzie finanziarie promesse ai detentori delle polizze Vita tradizionali. In Italia questo scarto, nello scenario di stress, era però ancora positivo, cioè 55 punti base. In pratica non c’era problema per le coperture degli impegni presi nei confronti degli assicurati, a differenza di Germania e Francia, dove lo scarto era invece negativo rispettivamente per 43 e 56 punti. A rendere più problematica la situazione dei sistemi assicurativi francesi e tedeschi era poi anche il disallineamento tra attivi e passivi, inesistente in Italia.
Le sfide per il sistema assicurativo italiano però non mancano. Anche le compagnie sono alle prese con la rivoluzione tecnologica che sta investendo il mondo della finanza e devono ancora crescere molto per recuperare il divario con il mondo bancario. Nell’area dell’euro, in media, le banche pesavano lo scorso anno quattro volte e mezza più delle assicurazioni in termini di raccolta dell’attivo. Nel Regno Unito sei volte e in Italia il divario è ancora più marcato, pari a sei volte e mezza. Le compagnie italiane stanno poi cercando di riequilibrare la composizione dei loro portafogli, sia per ridurre il rischio di concentrazione (in Btp) sia per cercare rendimenti più alti. Il decreto competitività ha consentito alle assicurazioni di investire in minibond, cartolarizzazioni o di erogare credito diretto, liberando un potenziale di 60 miliardi di investimenti, che però, come emerso dalla relazione Ivass, non è stato ancora usato dalle compagnie. Ma qualcosa di sta muovendo, come sottolineato ieri dal presidente dell’Ania, Aldo Minucci, che ha parlato di 12 miliardi già investiti dalle assicurazioni in pmi. (riproduzione riservata)