di Massimo Brambilla e Gianluca Defendi
Nessuno sa bene quali conseguenze possa portare un eventuale default della Grecia e soprattutto la possibile uscita dall’euro come unica strada percorribile, a quel punto, per riprendere in mano le sorti economico-finanziarie del Paese, necessitando della facoltà di tornare a battere una propria moneta.
Nemmeno la Bce, come ha affermato Mario Draghi in settimana, immagina lo scenario di medio-lungo periodo conseguente a una Grexit, sottointendendo che nel breve sarebbero dolori per i mercati finanziari. Perfino qualche esponente tedesco è giunto a dichiarare che, in effetti, ci potrebbe essere un fenomeno di contagio soprattutto in direzione dei Paesi periferici come Italia e Spagna, dove i rendimenti dei titoli di Stato decennali hanno iniziato a muoversi verso l’alto con più decisione nella settimana appena conclusa, ampliando lo spread con i decennali tedeschi: il differenziale di rendimento tra Btp e Bund è tornato infatti sopra la soglia di 145 centesimi affacciandosi oltre quota 150, fatto che non era più accaduto dall’inizio dello scorso dicembre, mettendo maggiormente sotto pressione le quotazioni della banche italiane, che fino al 12 giugno avevano dimostrato un’egregia tenuta consentendo al Ftse Mib di cedere molto meno terreno rispetto agli altri principali indici europei, Dax in testa.
In caso di mancato accordo con i creditori internazionali entro la scadenza del 30 giugno il rischio Grecia monterebbe esponenzialmente obbligando gli investitori a dirottare parte degli impieghi verso le quattro mete più sicure, ovvero: i titoli di Stato tedeschi, il franco svizzero, il dollaro Usa e l’oro. Quest’ultima meta, sebbene abbia dimostrato una buona tenuta delle quotazioni durante la tempesta internazionale del 2008 (perdendo «solo» il 25% ma recuperandolo integralmente già nel trimestre successivo al minimo), è da intendersi strettamente connessa alla penultima, quella del biglietto verde, in base al quale sono denominate le quotazioni di tutte le commodity, visto che la perdita momentanea subita dall’oro nel corso del 2008 era comunque quasi totalmente coperta, per un investitore che ragiona in euro, dal contestuale rafforzamento del dollaro nei confronti della moneta unica (nell’ordine del 20%). Attualmente l’oro tratta un po’ più in alto rispetto al 2008, attorno a 1.180 dollari per oncia rispetto ai 900 relativi alla prima parte del 2008: il supporto chiave è a 1.130 dollari, in prossimità del quale è possibile effettuare un primo acquisto attraverso gli appositi Etf quotati a Piazza Affari, riservando il secondo acquisto attorno a quota 1.070-1.050 in caso di cedimento del sostegno a 1.130 ed eventualmente un terzo nel caso in cui ampliasse la discesa fino alla soglia di 1.000 dollari l’oncia.
In riferimento al penultimo porto sicuro, quello del dollaro, un nuovo apprezzamento nei confronti della moneta unica sarebbe pressoché inevitabile qualora la situazione greca si aggravasse: è successo così anche in occasione della grande crisi finanziaria occidentale del 2008 e funzionerebbe così anche in questa circostanza, stanti le vendite degli investitori Usa sull’Eurozona che richiamerebbero per sicurezza i propri impieghi in patria e stante il Qe in atto nell’area euro, che probabilmente verrebbe momentaneamente incrementato. In questo caso il cedimento del sostegno a 1,105 del cambio con la moneta unica suggerirebbe acquisti di attività monetarie denominate in dollari (anche questa attività è praticabile tramite i relativi Etf o Certificates quotati rispettivamente sull’EtfPlus e sul SeDeX di Borsa Italiana) con obiettivo posto in prima battuta sul doppio minimo dell’anno segnato a quota 1,05 e con la concreta possibilità di ritrovarlo nel medio termine sulla parità, incassando così un guadagno del 5% o del 10% chiudendo l’operazione.
Un ragionamento analogo vale per il franco svizzero, da sempre considerata la valuta-rifugio per eccellenza: in una simile circostanza sarebbe certo l’indebolimento della moneta unica fino a quota 1,023 (minimo da febbraio a oggi), livello al di sotto del quale si riaprirebbe lo spazio di discesa fino a 0,98, con la banca centrale svizzera che a quel punto incrementerebbe gli acquisti di euro per contrastare l’eccessivo rafforzamento della valuta elvetica.
Il primo porto sicuro, quello del Bund, non sarebbe invece una scelta particolarmente allettante per gli investitori privati: optando per una reattività medio-alta dei corsi come quella che caratterizza il decennale tedesco, il margine più ottimistico di apprezzamento sarebbe verosimilmente limitato al ritorno dei prezzi sul record storico raggiunto il 17 aprile, quando il relativo rendimento aveva raggiunto praticamente lo zero, offrendo una possibilità di guadagno che nel migliore dei casi arriva al 5% rispetto alle quotazioni attuali.
L’alternativa al dirottamento delle posizioni più a rischio verso i porti più sicuri consiste nell’acquisto di strumenti di copertura del portafoglio azionario investito nell’area euro, come possono essere gli Etf o i Certificates di tipo short quotati sul circuito di Borsa Italiana (i secondi arrivano a offrire leve più che doppie rispetto ai primi), aventi come sottostante l’indice Dax, che al momento è quello più vulnerabile al ribasso, o il Ftse Mib, più adatto a coprire un portafoglio di azioni italiane focalizzato sulle banche. L’ideale sarebbe mantenere in portafoglio le sole azioni che sfoggiano una forza relativa e un quadro tecnico nettamente più solido rispetto al mercato (come Ubi Banca,Bpm e Intesa Sanpaolo, tra gli istituti di credito), essendo quindi in grado di reagire in misura più ampia nel caso in cui le trattative con Atene andassero a buon fine: a Piazza Affari spiccano in quest’ottica Telecom, Tod’s e Yoox. La prima si è appoggiata al robusto supporto a quota 1,08 euro effettuando un importante recupero: i prezzi devono affrontare un insidioso ostacolo attorno a 1,18, dove l’eventuale superamento aprirebbe ulteriori spazi di crescita verso 1,22 euro in prima battuta e attorno a quota 1,26 in un secondo momento. Segnali positivi sono arrivati anche da Tod’s, che è scesa fino a un minimo di 80,3 euro prima di iniziare un veloce rimbalzo tecnico che potrebbe condurla, dopo una breve pausa di consolidamento, al primo obiettivo a quota 89,5 e successivamente a 91,5 euro. Yoox, infine, sta confermando la tendenza rialzista di medio termine con un interessante balzo in avanti verso i massimi degli ultimi mesi: una chiusura giornaliera superiore a 31,5 euro fornirebbe un’ulteriore dimostrazione di forza aprendo la strada verso un primo target a quota 32,5 e un secondo a 33 euro. (riproduzione riservata)