di Claudia Cervini
Anche il retail che si era affacciato all’operazione timidamente, alla fine, ha risposto bene. Col risultato che, come anticipato da MF-Milano Finanza, l’aumento di capitale di Banca Carige ha fatto il pieno. Secondo i dati diffusi ieri dopo la chiusura dell’operazione da 850 milioni di euro, è stato sottoscritto il 99,83% dell’offerta per un ammontare di oltre 848,2 milioni.
L’inoptato è praticamente inesistente: i diritti di opzione non esercitati saranno offerti in borsa a partire dal 29 giugno 2015. E comunque, come ricorda la banca presieduta da Cesare Castelbarco Albani, entusiasta dell’esito dell’aumento, l’operazione è garantita da un consorzio di istituti capeggiato da Mediobanca.
Per conoscere nel dettaglio la composizione dell’azionariato bisognerà attendere ancora qualche ora: oggi Consob, infatti, alzerà il velo sulle quote dei soci. Ma qualche considerazione si può già fare.
Gli imprenditori Vittorio Malacalza (al 10,5% prima dell’avvio dell’aumento) e Gabriele Volpi (al 5% in fase pre-aumento) dovrebbero essere saliti ancora nel capitale. Malacalza Investimenti avrebbe ora il 17% circa, mentre Volpi si sarebbe attestato al 5,5%. Entrambi avevano manifestato l’intenzione di crescere in Carige, ma senza superare la soglia d’opa. I francesi di Bpce, un tempo azionisti al 9,9%, sono scesi considerevolmente: dapprima vendendo un pacchetto di partecipazioni a Malacalza per 32,6 milioni di euro (6,74 euro per azione) e poi vendendo i diritti in fase di aumento tanto che il 12 giugno la loro quota è scesa dal 4,925% all’1,851% di Carige (un’operazione che non tiene conto di un eventuale effetto diluitivo che potrebbe essersi registrato nel corso della ricapitalizzazione).
Un’altra new entry di questi giorni è quella di Generali che detiene il 5,122% diCarige; la partecipazione è detenuta tramite GeneraliInvestments Sicav, in proprietà diretta e, anche in questo caso, «è riferita al capitale sociale di Banca Carigesenza tener conto dell’aumento di capitale in corso» (l’operazione data 10 giugno). Una posizione che, secondo quanto spiegato da Generali, è di puro asset management. E chissà se, in fase di aumento, qualche altro colosso ha comprato un numero rilevante di azioni Carige.
Resta da capire come si sono mosse le Coop, la Fondazione Cassa di Risparmio di Savona e la Fondazione De Mari che avevano un obiettivo chiaro. «La linea è quella di non diluirci e di difendere la nostra posizione in Banca Carige sempre che si verifichino i presupposti», aveva detto a MF-Milano Finanza l’avvocato Roberto Romani, presidente della De Mari. «Quando gli assetti azionari saranno più chiari, insieme agli altri pattisti (Coop Liguria e la Fondazione Cr Carrara, ndr), ci confronteremo col primo azionista Vittorio Malacalza, che ha dimostrato un atteggiamento disponibile e inclusivo nell’interesse dell’azienda». Anche alcuni grandi imprenditori della zona dovrebbero aver fatto la loro parte.
Certo è che il valzer delle alleanze partirà in questi giorni. Intanto il cda di Carige si riunirà il 30 per deliberare sull’eventuale vendita della Cesare Ponti (che potrebbe anche rimanere nel perimetro), mentre i tempi non sembrano ancora maturi per la vendita di Creditis di cui si discuterà più avanti. Ieri il titolo ha chiuso a 1,737 euro (+0,99%). (riproduzione riservata)