di Claudia Cervini
Banca Carige ieri in tarda serata fissato i termini della ricapitalizzazione da 850 milioni di euro che permetterà al gruppo di allinearsi ai target della Bce e di rimediare al gap da 814 milioni di euro riscontrato in sede di asset quality review e stress test. Ieri, dopo il via libera di Consob alla pubblicazione del prospetto, il consiglio di amministrazione della banca ligure presieduta da Cesare Castelbarco Albani, ha stabilito il prezzo dell’operazione, che partirà lunedì 8 per chiudersi il 25 (per quanto concerne l’esercizio dei diritti).
Le nuove azioni (726,216,456 massime) saranno emesse a 1,17 euro nel rapporto di 7 a 1. Lo sconto sul Terp, cioè il 35,2%, inferiore a quello applicato in occasione della ricapitalizzazione del 2014 (38%), è sostanzialmente in linea con le attese del mercato. Si tratta di una valutazione realistica, se si pensa che oggi Carige capitalizza 666 milioni di euro, meno di quello che andrà a chiedere al mercato (850 milioni). Va ricordato che è già scattato il raggruppamento delle azioni nell’ordine di un nuovo titolo ordinario ogni 100 esistenti. In linea con le attese del mercato, negli ultimi giorni il valore del titolo Carige si è gradualmente allineato al presunto prezzo delle nuove azioni fino a portarsi ai 6,3 euro della chiusura di ieri (-1,25%). L’operazione ha insomma le caratteristiche di un aumento con effetto diluitivo, che Piazza Affari ha imparato a conoscere bene da qualche anno a questa parte. Per esperienza si sa che durante il periodo di offerta delle nuove azioni possono verificarsi anomalie di prezzo, consistenti in una forte sopravvalutazione del prezzo di mercato delle azioni rispetto al loro valore teorico. Proprio per questo Consob monitorerà il rispetto delle misure in tema di vendite allo scoperto e di obbligo di consegna dei titoli in sede di liquidazione, sanzionando eventuali violazioni alle norme.
Ora che l’aumento è arrivato ai nastri di partenza sarà interessante capire come si muoveranno i grandi soci dell’istituto ligure. È ragionevole pensare che la famiglia Malacalza (azionista al 14,9% tramite Malacalza Investimenti) e l’imprenditore Gabriele Volpi (socio al 5% attraverso The Summer Trust) sottoscrivano pro-quota, cioè rispettivamente con 127 milioni e con 42 milioni. Entrambi infatti sono intenzionati a salire nel capitale dell’istituto ligure e, a ricapitalizzazione conclusa, non si esclude un’alleanza tra i due imprenditori, che si conoscono da tempo sebbene non abbiano mai lavorato insieme.
L’incognita maggiore è rappresenetata dalla banca francese Bpce, attualmente azionista di Carige al 5,1% dopo aver ceduto parte della sua partecipazione proprio a Malacalza. La partecipazione non è strategica per l’istituto transalpino, che ha avviato una massiccia dismissione delle quote detenute in alcuni istituti europei ritenute non core. Se Bpce non dovesse sottoscrivere partirebbe la corsa all’inoptato, sul quale comunque è già presente la garanzia del pool di banche capitanato da Mediobanca. Resta da vedere anche come si comporteranno i pattisti Fondazione De Mari, Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara e Coop Liguria. Il presidente della Fondazione De Mari, Roberto Romani, a MF-Milano Finanza aveva dichiarato: «La linea è quella di non diluirci e di difendere la nostra posizione in Banca Carige, sempre che si verifichino i presupposti». In base al protocollo Acri-Mef, invece, la Fondazione Carrara dovrà pian piano diluirsi e non si può escludere alcuna ipotesi in merito alla sua partecipazione all’aumento. Infine, la FondazioneCarige, oggi unita con Malacalza da un patto parasociale e scesa sotto al 2%, non dovrebbe invece avere grossi problemi a sottoscrivere. (riproduzione riservata)