Paradossi della stangata sui capital gain in arrivo. Il mix tra imposizione fiscale delle rendite finanziarie (la cui aliquota da luglio passerà dal 20 al 26%, ad eccezione dei titoli di Stato che restano al 12,5%), e patrimoniale sugli investimenti (l’imposta di bollo partita nel 2012 con un’aliquota dello 0,10% e innalzata allo 0,2% quest’anno) porta a una tassazione complessiva inversamente proporzionale al rendimento.
Come emerge da un’analisi di Schroders, ad esempio, un Btp se rende il 2% (1% di cedola e 1% di capital gain) paga il 22,5%, mentre se rende il 10% paga il 14,7%, considerando il 12,5% più l’imposta di bollo dello 0,2% (si veda tabella in pagina). E il ragionamento non cambia se al posto di un titolo di Stato si considera un corporate bond o un’azione i cui rendimenti saranno tassati al 26%. Lo spiega bene Giuseppe Marsi, ad di Schroders Italy sim: «Minore è il rendimento atteso minore è la convenienza ad investire essendo il prelievo fiscale più alto. Ciò ovviamente può spingere gli investitori, soprattutto quelli più prudenti, a cambiare comportamento, rinunciando ad investire o alzando l’asticella del rischio». La questione riguarda tutti gli investitori, grandi e piccoli, e «potrebbe creare problemi più ampi, come maggiori difficoltà nel rifinanziamento del debito pubblico», afferma ancora Marsi, visto che con una tassazione così alta i magri rendimenti toccati dai Bot rischiano di diventare negativi considerando anche le commissioni.
Giovedì 26 giugno in asta sono stati assegnati Bot a sei mesi con tassi ai minimi storici (0,309%) da quando è stato introdotto l’euro. «La combinazione tra imposta di bollo e l’imposta sui redditi finanziari (sia redditi diversi che da capitale) crea quindi una distorsione che penalizza il risparmiatore proprio quando i rendimenti ottenuti sono più bassi, di solito ciò coincide con un ciclo recessivo che rischia di venire acuito da questa distorsione fiscale», dice Marsi. Non solo. La correlazione negativa tra tassazione e reddito finanziario «potrebbe favorire il proliferare di prodotti derivati a leva difficilmente liquidabili e molto rischiosi», continua Marsi. Ma anche le aziende che cercano di finanziarsi con canali alternativi al credito bancario sono in difficoltà visto che per i titoli di Stato è stato mantenuto il 12,5% mentre i corporate bond scontano un’aliquota del 26%. «Questa situazione penalizza le emissioni societarie incrementando la dipendenza delle società dalle banche a scapito di un mercato dei capitali già asfittico. Ed è una tassazione indiretta imposta a società pesantemente penalizzate con il rischio di una maggiore dipendenza del rifinanziamento del debito a breve verso soggetti esteri». Visto che imposta di bollo e aumento della tassazione delle rendite sono frutto di provvedimenti non coordinati, per porre rimedio a queste distorsioni «si potrebbe pensare a un innalzamento dell’imposta sulle rendite finanziarie con contemporanea abolizione dell’imposta di bollo, o a una differenziazione delle aliquote di imposta rendendo queste ultime inversamente proporzionali alla durata dell’investimento», conclude Marsi. (riproduzione riservata)