Qualora un dipendente pubblico voglia usufruire di assistenza legale gratuita, è necessario, al fine di non incorrere nella decadenza da tale diritto, comunicare tempestivamente tale volontà al proprio datore di lavoro.
Il diritto al rimborso, infatti, sorge soltanto nel caso in cui il funzionario abbia tempestivamente comunicato l’esistenza del procedimento penale ed abbia manifestato la volontà di usufruire dell’assistenza legale a carico dell’ente.
La disciplina applicabile è contenuta nell’art. 25 del ccnl 1998-2001 dell’area della Dirigenza medica e veterinaria del Servizio sanitario nazionale, stipulato in data 8.06.00, e nell’art. 26 del ceni nazionale integrativo del personale del comparto Sanità 7.04.99, stipulato il 20.09.01, i quali con formulazione identica prevedono che l’Azienda sanitaria – verificate l’assenza di conflitto di interesse – assuma a proprio carico la difesa del dirigente (art. 25) o genericamente del dipendente (art. 26) per i giudizi amministrativi, civili o penali riconnessi all’espletamento del servizio ed all’adempimento dei compiti di ufficio.
Le stesse disposizioni prevedono che gli oneri della difesa, in caso di assoluzione, siano a carico dell’azienda nel caso il dipendente sia stato assistito da un legale da essa prescelto; gli stessi oneri sono invece a carico del dipendente, nel caso lo stesso intenda nominare un difensore di sua fiducia in sostituzione di quello indicato dall’azienda.
Entrambe le norme danno atto della non applicabilità del D.P.R. 20 maggio 1987, n. 270, art. 41, recante norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo sindacale per il triennio 1985-1987 e relativa al comparto del personale dipendente del servizio sanitario nazionale, che, ai sensi della L. 29 marzo 1983, n. 93, disciplinava la stessa materia nel sistema contrattuale antecedente la privatizzazione del pubblico impiego.
Le disposizioni negoziali sono state trasfuse nel regolamento dell’Azienda sanitaria, di cui il richiedente era dipendente.
Detto regolamento prevede che indistintamente tutto il personale possa godere di detta copertura, a condizione che (per quanto qui interessa) il dipendente, dopo l’inizio del giudizio ed “entro e non oltre gg. 10 dalla piena conoscenza” dello stesso, abbia comunicato “la volontà di fruire di idonea assistenza legale a totale carico dell’Azienda” (art. 1). Detto regolamento prevede, comunque, che “nelle ipotesi in cui l’amministratore, funzionario o dipendente proceda alla nomina di un legale di fiducia in sostituzione di quello indicato dall’azienda oppure a supporto dello stesso, i relativi oneri saranno interamente a carico dell’interessato” (art. 3).
La Corte di merito ha interpretato queste disposizioni nel senso che il diritto al rimborso sorge solo nel caso che il funzionario abbia tempestivamente comunicato l’esistenza del procedimento penale ed abbia manifestato la volontà di usufruire dell’assistenza legale a carico dell’ente; pertanto, preso atto che detta comunicazione era stata tardivamente effettuata e che, soprattutto, non era stata manifestata la volontà di godere dell’assistenza a carico dell’azienda, lo stesso giudice ha ritenuto non dovuto il richiesto rimborso.
Le già richiamate norme contrattuali, su cui è fondato il diritto al rimborso, non prevedono esplicitamente l’obbligo del dipendente di indicare preventivamente (ed entro un breve termine) l’esistenza del procedimento giudiziario, nè che l’interessato debba manifestare la volontà di volersi valere dell’assistenza legale dell’azienda.
Le norme in questione, tuttavia, prevedono che l’azienda debba far assistere il dipendente da un legale fin dall’inizio del procedimento e per tutti i gradi di giudizio, assumendosene le spese, e che debba comunicare al dipendente il nominativo del legale per ottenere il suo gradimento.
Tali ultime disposizioni presuppongono, dunque, che l’azienda sia stata informata dell’esistenza del giudizio, sia stata portata a conoscenza dal dipendente della propria volontà di ottenere l’assistenza legale e che abbia nominato un difensore.
Le norme contrattuali consentono tuttavia che il funzionario respinga il professionista indicato dall’azienda e ne nomini un altro di suo gradimento, nel qual caso il dipendente può chiedere il rimborso delle spese sostenute entro il limite di quanto l’azienda avrebbe dovuto corrispondere a un legale da essa stessa nominato.
Nel caso di specie, l’azienda in sede regolamentare ha correttamente attuato la normativa contrattuale, subordinando il godimento del diritto al godimento dell’assistenza e al rimborso delle spese sostenute per la difesa di fiducia a una serie di oneri procedimentali.
Essa, infatti, in quanto astretta da vincoli di bilancio e dall’obbligo di programmazione della spesa, non poteva non essere portata a tempestiva conoscenza dell’esistenza del procedimento penale e della volontà del dipendente di godere dell’assistenza legale.
In altre parole, la formulazione della norma regolamentare è un corretto bilanciamento dell’interesse al contenimento della spesa da parte dell’azienda e l’interesse a non sostenere le spese legali da parte del dipendente e sul piano giuridico impone di qualificare il termine assegnato al dipendente come perentorio.
Per queste ragioni l’inosservanza dei detti oneri di informazione da luogo a una vera e propria decadenza che, seppure non esplicitamente menzionata nel testo regolamentare, è pur tuttavia con evidenza desumibile dal complesso della normativa in oggetto.
Cassazione civile sez. lav., sentenza del 4 marzo 2014 n. 4978