Adriano Bonafede
C’ è voluto il governo Renzi per abbattere, in quattro e quattr’otto, uno storico tabù dell’ordinamento giuridico italiano, difeso a spada tratta per decenni dalla Banca d’Italia. A saltare, grazie al decreto sulla “competitività”, è stata infatti la “riserva bancaria” nel campo dei finanziamenti sancita dall’articolo 10 del Testo unico bancario. Fino a questo momento, dunque, nessuna società o ente diverso da una banca ha potuto erogare prestiti. Ma da domani potranno prestare soldi alle imprese – secondo le modalità che saranno definite dall’organo di vigilanza – anche le compagnie d’assicurazione, le società di cartolarizzazione e la Sace. Per tutte varrà una sorta di tutoraggio da parte dei classici istituti di credito, che dovranno comunque effettuare un’istruttoria tecnica e metterci anche dei loro soldi. In questo modo il legislatore ha pensato di attutire la fine della riserva bancaria in tema di finanziamenti. In fondo, infatti, sono sempre le banche che indicano la strada e per così dire “garantiscono” gli altri soggetti, per nulla abituati a verificare il merito di credito di un’impresa. L’intento del legislatore, per quanto si possa ad oggi capire dalle disposizioni ancora abbozzate e per certi versi incomplete, è quello di far affluire al mondo delle imprese finanziamenti anche attraverso canali non classici. Del resto, anche gli ultimissimi dati dell’Abi mostrano che non c’è ancora stata una ripresa del credito e che anzi il credit crunch morde ancora, con erogazioni alle imprese tuttora in calo, nonostante le tante speranze riposte nell’andamento del 2014. Già da tempo (aveva cominciato il governo Monti) era stata aperta la possibilità concreta per le imprese non quotate di emettere i cosiddetti “mini bond”. Fatto il prodotto, era necessario creare anche chi lo comprasse. E per questo era stata aperta la porta ai cosiddetti “fondi di credito”, strumenti creati ad hoc da investitori istituzionali proprio per acquistare questi mini bond. Sono già stati lanciati in Italia circa una trentina di fondi di credito (di matrice bancaria oppure originate da operatori indipendenti come Impresa Italia della Riello Investimenti Sgr o anche esteri, come l’operatore americano Muzinich). Curiosamente, però, proprio i “credit funds” – che oltre ad essere regolati e vigilati da Banca d’Italia e Consob hanno la professionalità specifica per effettuare investimenti in Pmi italiane – al momento sembrano essere rimasti fuori dall’allargamento del perimetro della riserva bancaria laddove, invece, sono rientrate, sebbene sotto tutoraggio, le società di cartolarizzazione. Lo scenario complessivo che si presenta appare dunque notevole per la rilevanza dei cambiamenti annunciati ma allo stesso tempo confuso per la difficoltà che ancora si ha nell’intravedere un disegno strategico completo e coerente per il finanziamento non bancario delle imprese. Tanto più che, tra i nuovi soggetti in grado di erogare credito, il decreto del governo ha inserito anche la Sace. Quest’ultima aveva già annunciato, causando alcune polemiche, il lancio di un proprio fondo di debito. Una mossa che non sembrava concordata né con la Cassa depositi e prestiti (in procinto di lanciare un proprio fondo di fondi di credito, in aiuto e non in concorrenza con il settore privato) né con il ministero dell’Economia ma che è stata aspramente contestata dall’Aifi, l’associazione dei fondi di private equity, che ha visto nell’intervento della Sace, società pubblica peraltro in via di privatizzazione, un’impropria concorrenza sleale (la stessa Sace ha visionato le carte di gran parte dei nascenti fondi di credito). Ma la mossa a sorpresa contenuta in quest’ultimo decreto compie un ulteriore passaggio avvicinando la Sace a una banca a tutto tondo. È pur vero che dovrà anch’essa passare formalmente attraverso l’istruttoria di una banca, ma i più accorti segnalano che il potere contrattuale della Sace è molto forte perché sono gli stessi istituti di credito a chiedere le sue garanzie assicurative sull’export (che è poi il suo vero mestiere). Dalla Sace segnalano che già altre strutture analoghe, ad esempio quella americana, hanno erogato credito alle imprese in questi anni e che quindi non ci sarebbe nulla di male a farlo. Ma la partita è complicata sia dalla possibile concorrenza con i privati, sotto alcuni aspetti, da parte di una società già in monopolio naturale sulle garanzie ai crediti sia dalle incertezze sulla prossima privatizzazione. Tornando al decreto del governo, appare incomprensibile, secondo alcuni operatori, che i fondi di debito non siano nominati tra i soggetti autorizzati ad erogare direttamente finanziamenti alle imprese. La loro operatività resterebbe così ancorata e limitata ai mini-bond, lasciando di fatto fuori dal loro perimetro di possibile intervento gran parte del tessuto imprenditoriale nazionale. Inoltre, si tratterebbe di un limite incoerente con quanto accade in altri paesi europei che invece consentono a questi operatori vigilati e regolati, oltre che professionali, l’erogazione di prestiti. Anche alla luce di tale mancanza, appare più audace l’allargamento alle compagnie d’assicurazione che, a giudicare dai primi commenti informali, non sembrano aver partecipato alla stesura del testo del decreto, che mostrano di dover ancora studiare. «Le assicurazioni sono disponibili a fare la loro parte per diversificare le fonti di finanziamento delle imprese e le infrastrutture del Paese», ha dichiarato genericamente il presidente dell’Ania Aldo Minucci. Ma ha aggiunto: «Siamo assicuratori e non dobbiamo dimenticarlo, dobbiamo stare molto attenti ad assumere i rischi». L’Ivass, l’istituto di vigilanza sulle assicurazioni guidato da Salvatore Rossi, cercherà da parte sua di spronare le compagnie a utilizzare i nuovi strumenti d’investimento. Già a gennaio scorso i mini bond erano stati inseriti tra i possibili investimenti delle compagnie, che però si sono dimostrate, a detta di Rossi, molto prudenti: «L’atteggiamento delle compagnie in materia di investimenti non tradizionali dei loro attivi è stato finora, in generale, molto cauto. Le assicurazioni hanno l’opportunità di contribuire, con i necessari presidi di stabilità, a far evolvere la struttura finanziaria del paese verso un assetto più adatto ai tempi che viviamo». Chissà se usciranno dal letargo. IL DECLINO Nel grafico qui sopra, il lento ma (per ora) inarrestabile declino del credito bancario al settore privato. Il governo cerca ora di allargare anche alle compagnie d’assicurazione, alla Sace e alle società di cartolarizzazione la capacità di finanziamento delle imprese