Nel caso di morte immediata della vittima non è risarcibile la domanda di risarcimento del danno da “perdita del diritto alla vita” o danno tanatologico, proposta iure hereditatis dagli eredi del de cuius in quanto la lesione dell’integrità fisica con il verificarsi dell’evento letale, immediatamente o a breve distanza di tempo dall’evento lesivo, non è configurabile come danno tanatologico posto che comporta la perdita del bene giuridico della vita in capo al soggetto, che non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento trasferibile agli eredi, e ciò attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione degli effetti pregiudizievoli svolta dal risarcimento del danno e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando la persona abbia cessato di esistere, non essendo possibile un risarcimento per equivalente che operi quando la persona più non esiste.
Non appare configurabile la distinzione tra la figura del danno per perdita della vita, non trasmissibile agli eredi, dal danno per perdita della capacità di vivere, il quale costituirebbe un pregiudizio ontologicamente diverso dal primo, che presuppone lo stato in vita della vittima e quindi a seguito del decesso, la sua trasmissibilità agli eredi.
Il danno patrimoniale c.d. da lucro cessante, che consiste nella diminuzione di contributi o sovvenzioni, ovvero nella perdita di utilità che per legge o per solidarietà familiare sarebbero state conferite dalla vittima, va riconosciuto solo quando sia stata fornita la prova, che può essere anche presuntiva, da parte dei superstiti di una stabile contribuzione del defunto in favore di questi ultimi. Orbene il legame familiare e la convivenza con la vittima costituiscono solo degli indizi circa l’esistenza di detta contribuzione, ma non consentono, da soli, di presumere la ricorrenza di una stabile contribuzione in favore dei superstiti, la quale può dirsi sussistente soltanto qualora sia fornita la prova, dell’insufficienza dei redditi dei congiunti conviventi al proprio sostentamento.
In altri termini, è necessaria la prova in concreto che i superstiti sono stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui avrebbero presumibilmente continuato a beneficiare anche in futuro qualora non fosse intervenuto il decesso del congiunto. (P.Ca.)
Corte Appello di Milano – sez. IV civ. – n. 3563 – 9 novembre 2012