Due morti e oltre 40 feriti. Questo il bilancio dell’esplosione avvenuta giovedì scorso in un impianto chimico che produce etilene e propilene a Geismar, in Louisiana, che ha comportato l’evacuazione di oltre 300 persone a rischio di aver inalato fumi nocivi. Un caso non isolato, che riapre il dibattito sulle esposizioni professionali alle sostanze tossiche e alle esplosioni causate dalla mancata prevenzione nelle aziende. Non a caso l’Occupational Health and Safety Administration (Osha), l’ente incaricato di sorvegliare le condizioni di sicurezza sul posto di lavoro negli Stati Uniti, sta cercando di fissare degli standard per proteggere i lavoratori da queste sostanze.
Il prezzo della negligenza. Il rapporto “Morte sul lavoro – Il prezzo della negligenza”, realizzato dalla American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations (Afl-Cio), la più grande federazione sindacale degli Usa, stima che nel 2011 siano stati 4.693, pari a una media di 13 al giorno, i lavoratori americani vittime della mancata prevenzione. A questi si devono aggiungere i circa 50mila morti per malattie professionali, che fanno salire la media giornaliera a 137 vittime. Le segnalazioni dei datori di lavoro di infortuni e di patologie correlate alle professioni svolte si attestano, invece, intorno ai 3,8 milioni, ma il loro numero reale sarebbe da due a tre volte superiore: tra i sette e gli 11 milioni ogni anno.
Nel 2011 nessun miglioramento. L’edizione 2013 del rapporto, oltre ad analizzare Stato per Stato le condizioni lavorative degli occupati, punta il dito sulla situazione di stallo che si è venuta a creare nell’ultimo triennio. Dopo un periodo di declino costante degli infortuni mortali, infatti, tra il 2010 e il 2011 il tasso di mortalità è rimasto sostanzialmente invariato: nessun decremento né sul fronte degli infortuni, né su quello delle malattie professionali. A sottolineare la necessità di interventi è anche il ricordo di una delle maggiori tragedie degli ultimi 40 anni: l’esplosione, nell’aprile 2010, alla Massey Energy Upper Big Branch mine, miniera di carbone del West Virginia, costata la vita a 29 minatori.
La strada il luogo dove si muore di più. A pagare il tributo più alto dal punto di vista degli infortuni mortali, circa 749 nel 2011, sono i lavoratori del settore trasporto e magazzinaggio. Seguono gli impiegati nelle costruzioni (738) e in agricoltura, silvicoltura, pesca e caccia (566). Gli incidenti stradali sono responsabili del 41% di tutti i decessi del 2011. Tra i lavoratori di sesso maschile le cause principali sono stati gli incidenti su strada (23%), il contatto con oggetti e impianti (16%) e le cadute (15%). Tra le donne il 27% è rimasto vittima di incidenti stradali e il 20% di omicidi. Nel corso del 2011, infatti, sono state 78 le lavoratrici uccise sul totale di 385 decessi lavoro-correlati tra le donne. Nel complesso aggressioni e atti di violenza hanno provocato 791 vittime, pari al 17% del totale. Il tasso di mortalità è pari a 5,7 per 100mila tra gli uomini a fronte di 0,7 per 100mila tra le donne.
Un conto da 300 miliardi di dollari. Il prezzo degli infortuni, calcolato analizzando i dati del Bureau of Labor Statistics, dei centri per il controllo e la prevenzione delle malattie e del Consiglio nazionale sulle assicurazioni, è enorme: dai 250 ai 300 miliardi di dollari all’anno. Una zavorra economica che potrebbe essere ridotta attraverso politiche ad hoc nel settore della prevenzione e della sicurezza sul lavoro, già in parte messe in campo dall’Osha, con risorse che però restano inadeguate. Tra il 2010 e il 2011 sono 26 gli Stati che hanno registrato un aumento del numero degli incidenti mortali. In cima alla classifica il North Dakota, con un tasso di mortalità pari a 12,4 per 100mila, seguito da Wyoming, Montana, Alaska e Arkansas.
Fonte: INAIL