Sempre più banca, con una spiccata vocazione internazionale, e sempre meno holding di partecipazioni. La strategia impostata da Alberto Nagel da quando nel 2003 ha assunto la guida operativa di Mediobanca e perseguita in questi anni solo in parte, anche alla luce delle resistenze di una parte dei grandi soci a rinunciare alla presa sulle partecipazioni stabili (prima solo Generali e Rcs e a partire dal 2007 ancheTelecom Italia) e all’influenza che da queste derivava, potrebbe finalmente trovare compimento.
Se realizzata nei fatti, potrebbe dunque trattarsi di una svolta epocale per Piazzetta Cuccia, che ancora oggi, alla luce delle partecipazioni strategiche detenute in Generali(13,2%), Rcs Mediagroup (14,3%) e Telco (11,6%), ma anche di quelle stabili in Pirelli(4,49%), Gemina (12,5%), Italmobiliare (9,5%) e Sintonia (5,9%), continua pur sempre a essere un piccolo sole al centro di una galassia ormai in via di disgregazione.
Un copione analogo dovrebbe essere seguito in Rcs. Subito dopo l’aumento di capitale della società editoriale, l’attuale patto di sindacato dovrebbe essere sciolto e alcuni dei soci forti di Via Rizzoli, tra cui la stessa Mediobanca, dovrebbero dare vita a un accordo di consultazione. Un patto light, che lascerà mano libera nella gestione delle rispettive partecipazioni, che dovrebbe accompagnare Rcs nell’alveo di una nuova proprietà.
Più complesso, invece, il caso delle Generali. Qui la discesa dall’attuale 13,2% è di fatto imposta dalle regole di Basilea 3, che entreranno in vigore gradualmente dal 2014 e che prevedono che le partecipazioni detenute dalle banche nelle compagnie di assicurazioni, se superiori al 10% del patrimonio di vigilanza, vadano dedotte per la quota eccedente. Rimanere agli attuali livelli partecipativi nel Leone si tradurrebbe dunque in un’erosione di capitale per Mediobanca, che in questi anni ha fatto proprio della solidità patrimoniale (il Core Tier 1 ratio al 30 marzo era dell’11,97%) una dei suoi punti di forza. La discesa, comunque, non dovrebbe essere né drastica (si suppone attorno al 9-10%) né repentina. Mediobanca continuerà ancora a essere il primo azionista della compagnia triestina, ma nell’ambito di una coalizione con alcuni investitori privati (Del Vecchio, De Agostini e Caltagirone) le cui partecipazioni aggregate equilibreranno di fatto quella della banca d’affari.
I proventi delle dismissioni saranno investiti nel rafforzamento dell’attività bancaria, sia sul fronte corporate sia su quello retail. Non saranno dunque chiesti sacrifici agli azionisti né in termini di futuri aumenti di capitale finalizzati alla crescita né in termini di rinuncia ai dividendi, che invece dovrebbero essere garantiti nell’arco del triennio.
Nel dettaglio, le attività di corporate & investment banking dovrebbero quindi essere rafforzate, sia adottando un nuovo modello organizzativo, che possa essere più comprensibile dal mercato, sia potenziando ulteriormente la presenza estera diMediobanca. Il piano non dovrebbe prevedere l’apertura di alcuna nuova sede (se non i presidi in corso di allestimento in Turchia e Cina) ma il rafforzamento (anche attraverso l’assunzione di nuovi talenti dall’esterno) delle attuali sedi di Madrid, Parigi, Francoforte e Londra, dove dovrebbe essere trasferita una parte della ricerca azionaria e dove sarà ulteriormente potenziata la redditizia attività di fabbrica prodotto (derivati e strutturati) a supporto dell’investment banking. Proprio l’espansione all’estero viene considerata la chiave per far crescere i ricavi, che a fine piano potrebbero essere ripartiti equamente tra le attività italiane e quelle oltre confine (ma non è esclusa una prevalenza di queste ultime). Il piano non dovrebbe agire invece sulla riduzione dei costi, che potrebbero invece aumentare a fronte degli investimenti necessari per rafforzarsi all’estero. Ma, almeno a giudicare dall’attuale cost/income ratio di Piazzetta Cuccia, pari al 36% contro una media delle banche di investimento globali del 60%, gli spazi per un’ulteriore crescita sembrano esserci. Dopo la stretta sui crediti degli scorsi trimestri, il nuovo piano dovrebbe prevedere, pur in un’ottica del contenimento del rischio, anche un’accelerazione sui volumi, sia nei confronti della clientela large corporate, sia nei confronti delle medie imprese. (riproduzione riservata)