Il nuovo piano strategico di Mediobanca, che oggi sarà presentato alla comunità finanziaria, rappresenterà davvero una svolta storica per l’istituto fondato nel 1946 da Enrico Cuccia? Le indiscrezioni trapelate nella giornata di ieri, dopo la riunione del consiglio di amministrazione che ha approvato all’unanimità il piano messo a punto dall’ad Alberto Nagel, poco aggiungono a quanto anticipato dalla stampa nei giorni scorsi. «Più banca d’affari, con una spiccata propensione internazionale, e sempre meno holding di partecipazioni».
Il punto cruciale del piano riguarderà tuttavia le possibili evoluzioni del rapporto traMediobanca e le Generali, di cui la banca d’affari è tuttora il principale azionista con il 13,2%, pur all’interno di una coalizione informale con un gruppo di investitori privati (Del Vecchio, De Agostini e Caltagirone) che assieme detengono una quota vicina al 10%.
Nonostante tutto Nagel, anche con il consenso del consiglio della banca, avrebbe deciso di ridurre progressivamente la partecipazione nelle Generali portandola dall’attuale 13,2% nell’intorno del 10%. Ma qual è la ragione di un alleggerimento così importante della quota nel Leone visto che, nel caso la partecipazione dovesse rimanere sugli attuali livelli, le regole di Basilea 3 non metterebbero comunqueMediobanca con le spalle al muro? Secondo quanto appreso in ambienti vicini al cda, Nagel avrebbe motivato questa svolta strategica con la necessità di liberare progressivamente capitale da investire nel business bancario. Agli attuali valori di mercato un 3% delle Generali vale circa 650 milioni, ma l’aspettativa è che nel medio termine, anche grazie alla strategia di focalizzazione sul core business assicurativo impostata a Trieste da Mario Greco, il titolo del Leone possa recuperare gran parte del valore perso negli ultimi anni.
Ma la necessità di recuperare risorse da investire nell’attività bancaria non è l’unica motivazione della svolta di Mediobanca sulle Generali. La discesa attorno al 10% consentirebbe infatti alla banca d’affari di continuare a contabilizzare la partecipazione al patrimonio netto, riuscendo in questo modo a stabilizzare il conto economico recependo pro-quota i risultati del gruppo assicurativo. Allo stesso tempo però a un tale livello di partecipazione e con ormai un solo rappresentante della banca nel consiglio di amministrazione del Leone accanto ai rappresentanti dei soci privati, diventerebbe più difficile sostenere quella tesi del controllo di fatto della banca d’affari sulle Generali, che negli ultimi dieci anni ha rappresentato l’architrave delle principali decisioni prese dall’Antitrust in materia di concentrazioni bancarie e assicurative. Basterà? In passato la Mediobanca Cuccia e la Lazard di André Meyer erano riuscite a consolidare la propria influenza sulla compagnia triestina proprio con una quota del 10%. Ma erano i tempi d’oro del capitalismo di relazione. Da oggi vedremo se inMediobanca sono definitivamente archiviati. (riproduzione riservata)