Andrea Greco
Milano non è tutta farina del loro sacco, ma i promotori finanziari stanno vivendo una stagione felice, ben al di là degli alti e bassi dei mercati. Uno dei fattori chiave è la loro “rincorsa verso l’alto”, verso la clientela privilegiata che sente meno la crisi. Un altro fattore determinante è la politica delle banche, tenutarie di una quota sostanziosa del risparmio nazionale, che da qualche mese paiono uscite dall’emergenza funding, e hanno deciso di pigiare un po’ sulle entrate commissionali, che nel conto economico stanno compensando i margini di interesse azzerati dai tassi ai minimi. Scendendo dalle stanze dei bottoni bancari al mercato, gli operatori spiegano che la crisi e la contrazione dei margini spingono l’offerta verso i lidi più esclusivi: ampliare le masse gestite non basta più, ora bisogna aumentare qualità e redditività dei servizi, fatte salve le specifiche differenze di taglia, organizzazione e qualità tra le nicchie “Pf” e “Pb”. Per la prima volta da cinque anni la raccolta netta dei promotori è in solida crescita: 4,18 miliardi in più nel primo trimestre 2013. Lo spaccato della componente gestita (5,56 miliardi di flussi, anche a scapito di quello amministrato che nei tre mesi si è ritirato di 1,37 miliardi) conferma inoltre il ritorno di fiducia verso strumenti ad alto tasso di consulenza come fondi comuni & sicav, più tipici dei promotori: circa un fondo su tre in Italia passa per le loro mani, malgrado la loro quota di mercato, stabile, si attesti storicamente sul 7-8% del gestito nazionale. Nel primo trimestre i promotori hanno ritoccato anche il record delle masse gestite, pari a 264,8 miliardi (+3% rispetto a dicembre 2012), di cui il 73,6% è risparmio gestito. Il mondo dei promotori sta recuperando posizioni rispetto a quello del private banking. Nel 2012, secondo i dati Aipb, la raccolta degli italiani più abbienti è scesa dello 0,2%, anche se il patrimonio totale, complici le riprese dei mercati, è salito del 2,3% a 898 miliardi (da 878 miliardi di fine 2011). Le masse realmente servite dai private banker sono però circa la metà: 431 miliardi nel 2012, dai 409 dell’anno prima, quando nel segmento facoltoso s’era avuta una battuta d’arresto. Anche le iscrizioni all’albo dei promotori finanziari, in aumento di 300 unità a 52.500 a fine aprile, attestano lo stato di salute della categoria. Ma anche in questo caso c’è una componente residuale, ancora di natura bancaria: la crisi del modello tradizionale di banca commerciale spinge verso modelli sempre meno “fisici”, rendendo eccedenti masse di cassieri e sportellisti che gli istituti cercano di riconvertire alla missione commerciale. Nell’ultimo concorso per prendere il “patentino” di Pf si sono iscritti in 1.500, per oltre metà dipendenti di banche. Sono quindi gli istituti a decidere e dosare il mix di promotori e private banker, di fondi e di altri investimenti, di filiali e di altri canali. E così sarà anche nel prossimo futuro. Tra chi si è mosso con più aggressività e risultati, verso il segmento d’élite, c’è Azimut, che tra gennaio e maggio ha raccolto 1,36 miliardi (l’85% dell’intero 2012), sta cominciando a penetrare i mercati esteri e ha un target di 28 miliardi di masse gestite al 2014 (oggi i miliardi sono 21,5). L’ad Pietro Giuliani ha dichiarato giorni fa che «finché non ci sarà una vera ripresa, il centro d’interesse di Azimut non potrà che essere il segmento private e wealth management», cercando di elevare la componente azionaria dei portafogli clienti. Uno dei rischi è che nella “rincorsa verso l’alto” i promotori perdano in redditività, perché le commissioni (lorde) dei private sono una frazione rispetto ai 100-150 punti base dei Pf. «Sicuramente le reti possono continuare l’integrazione verso il private banking, ma solo a patto che mantengano la diversificazione dei business – spiega Felice Graziani, responsabile marketing di Anasf -. Per i promotori, a differenza dei private banker, la redditività è necessaria, ed è più difficile difenderla sui patrimoni facoltosi, che hanno elevato potere contrattuale». Alcune reti come Mediolanum e Fideuram avevano già compiuto, nel recente passato, il “salto in alto”. Oggi, approfittando dell’offerta di personale bancario, la rete di Ennio Doris, ma anche quelle di Banca Generali e di Azimut, stanno cercando di ampliare gli organici. C’è poi chi, come Intesa Sanpaolo, ha in cantiere un progetto che dovrebbe trasformare un migliaio di dipendenti in promotori. E la stessa cosa ha in mente Bnl, che nel 2004 cedette la rete promotori ad Allianz e ora intende tornare sui suoi passi per sfruttare la flessibilità necessaria ai nuovi modelli distributivi. Un proposito che, appena dichiarato a mezzo di stampa, ha già messo sul piede di guerra il coordinamento sindacale interno. Nell’ultimo concorso per prendere il “patentino” di promotore finanziario si sono iscritti in 1.500, per oltre metà dipendenti di banche.