La riforma del lavoro non basta. Qui ci vuole anche un nuovo intervento per rilanciare la previdenza complementare che in Italia coinvolge soltanto un quarto dei lavoratori dipendenti pubblici e privati e autonomi (5,9 milioni). A sei anni dalla riforma dei fondi pensione infatti il 75% dei cittadini italiani che lavora non ha ancora una ruota di scorta per integrare l’assegno pubblico che sarà sempre più magro.
Dal 2007 a oggi «l’incremento della partecipazione al sistema della previdenza complementare, sebbene significativo, risulta inferiore alle aspettative», spiega la Covip nella relazione annuale appena pubblicata. In questi sei anni le adesioni sono aumentate di 2,7 milioni, oltre la metà (circa 1,4 milioni) si è concentrata alla scadenza del primo semestre del 2007, termine entro il quale doveva essere esercitata l’opzione sul conferimento del trattamento di fine rapporto (Tfr) per i lavoratori già assunti, mentre per quelli assunti successivamente lo stesso meccanismo scatta nei primi sei mesi di lavoro. La legge entrata in vigore nel 2007 prevede infatti che l’adesione ai fondi pensione avvenga con la formula del silenzio-assenso: in mancanza di scelta il lavoratore si trova automaticamente iscritto al fondo di riferimento previsto dagli collettivi o aziendali. In mancanza di tutto ciò il Tfr viene conferito a un comparto ad hoc costituito presso l’Inps (Fondinps).
Ma il meccanismo del silenzio-assenso non ha avuto un gran successo perché molti lavoratori hanno scelto di lasciare il Tfr in azienda. Una mossa che può essere stata influenzata dal datore di lavoro in una fase in cui la liquidità delle imprese è sempre più scarsa. Infatti per i lavoratori alle dipendenze di aziende con meno di 50 addetti il Tfr maturando continuerà a essere accantonato presso il datore di lavoro, per le altre società più grandi invece viene trasferito in un fondo ad hoc costituito presso la Tesoreria di Stato e gestito dall’Inps. «Dall’avvio della riforma sono state 219 mila le adesioni tacite alle forme di previdenza complementare; di queste, 167 mila sono confluite nei fondi pensione negoziali, 11 mila nei fondi pensione preesistenti, poco meno di 5 mila nei fondi pensione aperti e 36 mila in Fondinps. Rispetto al totale dei nuovi iscritti dipendenti privati, l’incidenza delle adesioni tacite è stata solo dell’8%», sottolinea ancora l’autorità di vigilanza dei fondi pensione. E nel 2012 il meccanismo delle adesioni tacite ha apportato 14 mila nuovi iscritti, appena il 3% del totale. «I risultati ottenuti tramite l’applicazione su scala nazionale del silenzio-assenso non possono ritenersi soddisfacenti. Soffermarsi sulle ragioni dell’insuccesso di tale meccanismo in Italia e sulle possibili misure correttive è senz’altro utile nella prospettiva di una sua futura riproposizione», si legge nella relazione 2012 della Covip.
Eppure i rendimenti non hanno deluso. Nel 2012 tutte le tipologie di forme pensionistiche complementari hanno registrato in media rendimenti compresi fra l’8 e il 9%, battendo il 2,9% messo a segno dal Tfr rivalutato in azienda grazie all’andamento positivo dei mercati finanziari.
Il bilancio dall’avvio dei fondi pensione, ovvero dal 2000, è invece meno positivo perché questo ha coinciso «con un periodo nel quale si sono alternate fasi di turbolenza dei mercati finanziari e», sottolinea Covip, «i risultati delle forme pensionistiche ne hanno risentito». Da inizio 2000 a fine 2012 il rendimento cumulato dei fondi pensione negoziali è stato del 41,1% inferiore al 43,6 % ottenuto dal Tfr nello stesso periodo. In ogni caso il sistema ha retto l’urto della crisi senza considerare i benefici fiscali che non aderire ai fondi pensione con il proprio contributo comporta per il lavoratore rinunciare al contributo del datore di lavoro che è pari all’1-2% della retribuzione. Su orizzonti temporali lunghi anche piccoli importi, grazie al sistema della capitalizzazione degli interessi, possono dare risultati di tutto rispetto. Non solo; i fondi pensione sono rimasti una delle poche isole felici al riparo dalla morsa del fisco grazie a una serie di agevolazioni e incentivi fiscali che sul lungo termine consentono di ottenere, a parità di altre condizioni, un capitale maggiore rispetto a forme di investimento alternative. «Al di là degli innegabili vantaggi fiscali, lo sforzo di introdurre anche in Italia i fondi pensione ha il primario scopo di consentire l’erogazione di una pensione aggiuntiva a quella di base che in futuro non sarà così generosa come quella dei nostri padri e nonni», spiega Alberto Brambilla, coordinatore di Itinerari Previdenziali.
Come emerge anche dall’ultimo rapporto 2013 della Ragioneria Generale dello Stato, che ha calcolato i tassi di sostituzione, cioè il rapporto tra ultimo stipendio e la prima rata di pensione dopo l’ultima riforma pensionistica, quella dell’ex ministro Fornero, che di fatto ha iniziato a esplicare i primi effetti quest’anno. Peraltro l’Italia è l’unico Stato in Europa dove la dinamica delle pensioni è legata all’economia. Nella maggior parte degli altri sistemi europei vige infatti l’indicizzazione ai prezzi. Ma il Paese ha anche un altro primato, come sottolinea la Ragioneria Generale dello Stato. Le ultime riforme previdenziali sono state così severe che l’Italia risulta uno dei Paesi con la più bassa crescita della spesa pensionistica in rapporto al pil da qui al 2060 «segnalando, sotto questo aspetto, un rischio contenuto in termini di impatto dell’invecchiamento demografico sulla sostenibilità delle finanze pubbliche», spiega la Ragioneria Generale.
Un primato che però è stato ottenuto sulle spalle di migliaia di lavoratori che ora si trovano senza stipendio e senza pensione: i cosiddetti esodati che secondo stime superano le 400 mila unità. Si calcola che la riforma della Fornero faccia risparmiare all’Italia 80 miliardi da qui al 2022. E i possibili ritocchi allo studio del governo non riguarderanno la situazione dei più giovani, che sono la categoria oggi più a rischio di avere pensioni da fame. Urge correre ai ripari allora e d’altra parte in tema di previdenza integrativa il tempo è il più prezioso alleato. Il problema è che tra disoccupazione e precariato le nuove generazioni hanno poche risorse a disposizione per costruire una pensione di scorta. Ma si può partire anche da piccole somme. Per questo Progetica, società indipendente di consulenza in educazione e pianificazione finanziaria, ha effettuato delle simulazioni per retribuzioni da «generazione mille euro», considerando un versamento mensile di 50 euro. Tutti i profili vengono analizzati a parità di condizioni, con un’età pensionabile di 67 anni e un reddito lordo annuo di 16 mila euro, circa 1.000 euro netti al mese. «La prima tabella mostra come il rischio e il tempo siano un alleato, soprattutto per chi ha risorse limitate: in funzione del tempo mancante alla pensione, la differenza di rendita ottenibile oscilla tra il 15% e il 30%. Più l’orizzonte temporale di fronte a se è lungo, più i mercati possono dunque offrire un aiuto a integrare al meglio l’assegno pensionistico pubblico», spiega Andrea Carbone di Progetica. La seconda tabella aiuta invece a comprendere perché in certi casi, soprattutto con la linea garantita, la rendita attesa sia apparentemente inferiore a quanto versato. «La risposta si ottiene confrontando le differenti scale temporali, ovvero durata dei versamenti rispetto all’attesa di vita media, e includendo il beneficio fiscale sui versamenti. L’indice di redditività percentuale mostra l’efficienza dell’operazione da un punto di vista finanziario: per ogni euro investito, se ne ottengono a vita media tra 1,25 e 1,9», spiega Carbone. La terza e ultima tabella quantifica il beneficio fiscale per chi ha un reddito come quelli simulati. «Le simulazioni ricordano come spostare risorse dall’oggi al domani, attraverso gli strumenti della previdenza complementare, sia un’operazione efficiente da un punto di vista finanziario, che per sua essenza garantisce dal rischio buono di sopravvivere al proprio reddito, grazie alla rendita vitalizia. Un’operazione efficiente tanto per chi ha risorse quanto per chi ha disponibilità limitate», conclude Carbone. (riproduzione riservata)